Stop agli smartphone in classe

Stop agli smartphone in classe

Da settembre il cellulare resta a casa o al massimo chiuso nello zaino. Ritorna il caro vecchio diario di carta per segnare i compiti. Smartphone banditi dunque, anche per uso didattico sotto il controllo degli insegnanti.
L’uso eccessivo della tecnologia ha un impatto negativo e potenzialmente pericoloso sullo sviluppo cognitivo dei ragazzi. Per non parlare del crollo del rendimento scolastico degli adolescenti. Distrazione, perdita di memoria e di concentrazione, diminuzione della capacità dialettica e di spirito critico. Con tanto di studi scientifici a supportare la decisione del Ministro accolta con favore da tanti genitori rassicurati dal provvedimento.
Insomma il nemico smartphone è messo all’angolo. Ed ora? Assisteremo ad un cambiamento generazionale epocale? Ai social abbiamo dato la colpa di fronte ai ragazzi depressi, a quelli che si comportano male con gli adulti, a quelli che non vanno bene a scuola, di fronte agli episodi di bullismo e alle sfide pericolose. Tutto il disagio e la sofferenza giovanile di questi anni hanno trovato una causa, il famigerato cellulare che adesso dovrà vedersela con il Ministro dell’Istruzione. Quanto ci piace semplificare la complessità del nostro tempo! Anche perché così abbiamo più tempo per postare su tutti i social le nostre opinioni, la nostra vita privata, la rappresentazione di noi stessi che ci fa sentire all’altezza di una timeline straboccante di modelli di successo. Sarà anche per questo che andiamo perdendo credibilità di fronte ai ragazzi?

Torniamo a fare gli adulti

Non c’è dubbio che oggi fare il genitore è più complicato di ieri: l’era digitale mette i ragazzi su un piano diverso dal nostro approccio “analogico” alle cose della vita. Però l’uso smodato della tecnologia e dei social, diciamocelo, riempie un vuoto, per un per un bel po’ di tempo delle nostre giornate. E poi lascia un vuoto ancora più profondo. E piano piano diventa come una droga. Ti da la sensazione di benessere, di euforia, ti fa dimenticare i problemi, poi finisce l’effetto e i problemi tornano ingigantiti. E si ricomincia. Un circolo vizioso che giorno dopo giorno, mese dopo mese, anno dopo anno ci va trasformando in adulti sempre meno adulti e sempre più adolescenti. Sempre più fragili. E magari pensiamo anche che i nostri figli non se ne accorgano. Però tutti a parlare della fragilità degli adolescenti confortati da studi, statistiche, esperti e gridi d’allarme.

Fuori il cellulare, dentro l’educazione digitale

Mettere al bando il cellulare non basta. A noi adulti, a scuola e in famiglia, resta il compito di educare ad un uso consapevole e responsabile dello smartphone e dei social. Da dove si comincia? Con un po’ di umiltà bisogna imparare alcune cose prima di spiegarle ai ragazzi. In rete si trova di tutto ma anche questo approccio rischia di essere semplicistico di fronte a questioni così complesse. La cosa migliore è partecipare a qualche momento formativo rivolto agli adulti, genitori e insegnanti, con la presenza di esperti. Gli incontri “in presenza” sono importanti perché consentono di confrontarsi, porre dubbi, sperimentare gli strumenti, ad esempio di parental control, condividere soluzioni, buone prassi e abbassare il livello di ansia. Il primo bisogno dei genitori è quello di non sentirsi soli perché il senso di impotenza ovviamente prelude all’atteggiamento rinunciatario. E a forza di rinunciare ad educare i figli stiamo finendo per rinunciare a farli i figli.

L’Università della Famiglia

Ci sono tante realtà del terzo settore, ma anche Scuole e qualche Comune, che organizzano incontri di formazione per genitori ed insegnanti. Exodus ha lanciato diversi anni fa l’Università della Famiglia che, anche quest’anno, ad ottobre, riaprirà le attività con incontri animati da esperti con lunga esperienza di lavoro con gli adolescenti, nel campo del disagio giovanile, delle dipendenze, della relazione educativa e della progettazione sociale. La famiglia e la scuola sono i fattori di protezione più importante contro la sofferenza che galoppa tra i giovani, soprattutto dalla pandemia in poi. Informarsi, capire ed educare è un compito e una responsabilità a cui non possiamo sottrarci. Proviamo a farlo insieme, proviamo a farlo tutti.

Foto di copertina: Image by freepik

Il carcere e la città

Il carcere e la città

Ventuno anni, poco più che adolescente. Questa l’età di ragazzo morto nel carcere di Frosinone qualche giorno fa. Ha inalato il gas di una bomboletta da campeggio e sembra improbabile che possa averlo fatto per errore. Un’indagine con cui accertarlo è stata aperta dalla procura del capoluogo. Dunque potrebbe trattarsi del quarantottesimo suicidio nelle carceri italiane di quest’anno. Ma ad oggi siamo già a 50 casi e in questi primi sei mesi del ‘24 ce ne sono anche 5 che riguardano gli agenti di custodia. Il mondo delle politiche sociali deve interrogarsi, oggi più che mai, su come ridare dignità alle persone detenute.

Lo “svuota-carceri”

Mentre scrivo il Ministro Nordio presenta in Consiglio dei Ministri il decreto “svuota-carceri” con sconti di pena e facilitazioni per le misure alternative ma il sovraffollamento non è l’unico aspetto. Il vero punto, che anche questo decreto non prova nemmeno ad affrontare, è la funzione rieducativa della pena, per la quale servirebbero educatori (appunto!), psicologi, scambio con le realtà (accreditate!) del Terzo settore.

Un mondo a parte

Entro in carcere da tanti anni per incontrare detenuti con problemi di tossicodipendenza. Con loro si incontra un mondo profondamente complesso, fatto di cancelli pesanti che ti si chiudono alle spalle ad ogni corridoio. Ma anche di persone che vivono o lavorano immerse in una dimensione parallela a quella della normalità.

Cassino, Frosinone, Regina Coeli, Rebibbia, Poggio reale, Nisida: il carcere è un mondo a sé stante dove il tempo ha senso solamente nell’attesa del fine penaNon è un tempo di ricostruzione, non è un tempo di conversione, non è un tempo di rieducazione, non è un tempo di cura. Perlomeno nella stragrande maggioranza dei casi. Anche a causa della mancanza di personale.

Eppure, non occuparsi della rieducazione dei detenuti, della ricostruzione delle loro abilità sociali, dei loro percorsi formativi e di reinserimento lavorativo è il più grande danno che la società possa fare a sé stessa perché quando il detenuto esce dal carcere non ha nessuna opportunità che gli impedisca di tornare a delinquere. Non ha paura di tornare in carcere perché non ha nulla da perdere.

Il “doppio fardello”

A maggior ragione se vive una condizione di salute compromessa come il disagio psichico, la tossicodipendenza, le varie forme di disturbo della personalità. La sanità penitenziaria è lontana anni luce dalla possibilità di prendere in carico realmente la sofferenza di queste persone.

Nel libro “Il doppio fardello” il professor Maurizio Esposito, partendo da un lavoro di ricerca molto approfondito, mette a nudo tutti i limiti del sistema penitenziario sul tema del diritto alla salute di persone alle quali non solo è negata la libertà ma anche la cura di malattie croniche che, di fatto, pregiudicano le relazioni e le prospettive future. Occuparsi della loro salute è il primo modo per ridare dignità alle persone detenute.

In un’intervista Giovanni Maria Flick (ex ministro di Giustizia e presidente della Corte Costituzionale) ricorda che “il carcere viene considerato un mondo a parte, poroso ma impermeabile a qualsiasi forma di cambiamento; uno strumento di reazione alla paura del diverso”. Invece di essere utilizzato come extrema ratio, per casi particolarmente gravi è lo strumento per risolvere problemi ordinari. A parere del giurista si continua a perseguire la strada del “carcere a ogni costo” e “ci si dimentica dei diritti e della dignità del detenuto, oltre che della funzione educativa della pena”. Aggiunge: “Ma c’è un principio che spesso viene dimenticato: è la pari dignità sociale, la quale non esclude nessuno, neanche i detenuti; neanche i condannati per i reati più gravi. È una dignità che spesso viene negata nei fatti che sembrano rendere impossibile un carcere diverso da quello attuale”.

Dignità alle persone detenute

Eppure iniziative innovative e molto interessanti si intravedono all’orizzonte come ad esempio la  collaborazione tra l’Università e il Carcere di Cassino che ha portato l’anno scorso il primo detenuto al conseguimento della laurea triennale in Servizi giuridici. Il progetto “Università in carcere” sta a dimostrare che i muri si possono superare. Così come numerosi sono i Volontari che intraprendono iniziative di solidarietà verso i detenuti.

Nella nostra provincia esistono tre istituti penitenziari, Frosinone, Cassino e Paliano, nei quali gli operatori della sicurezza, gli operatori sanitari e i volontari vivono più o meno gli stessi problemi. 

Mi domando se non possa avere senso costituire un Coordinamento “Carcere e città”. Gli Assessori alle politiche sociali dei 3 Comuni interessati potrebbero animare questo tavolo per dare maggiore incisività alle iniziative che hanno al centro i detenuti, le loro famiglie, le condizioni di vita in carcere e i difficili percorsi di reinserimento. Non il carcere dove ognuno coltiva il proprio orticello, bene sicuramente, ma il carcere dentro alla città dove fare rete significa che gli operatori possono aiutarsi tra di loro, scambiare buone pratiche, che i detenuti possono contare sul sostegno integrato di varie realtà, istituzionali e del privato sociale, dove la speranza possa trasformarsi in certezza di impegno corale per ridare dignità alle persone detenute. 

È chiaro che disperazione e solitudine diventano facilmente terreno fertile per gesti estremi ma non possiamo sopportare che in Italia, finire in carcere debba significare morte della propria dignità di essere umano.

Droga, apriamo gli occhi!

Droga, apriamo gli occhi!

Passata più o meno sotto silenzio anche quest’anno la Giornata mondiale di lotta alla droga. Il 26 giugno il Governo ha presentato i dati della relazione annuale al Parlamento mettendo in evidenza che quattro giovani su dieci tra i 15 e i 19 anni nel 2023 hanno fatto uso almeno una volta di sostanze stupefacenti. E in Provincia di Frosinone che succede? Il rapporto dell’osservatorio epidemiologico segnala che sono oltre 1.800 gli utenti in carico alla ASL. Da non dimenticare le persone, un centinaio circa, accolte dalle tre comunità terapeutiche In dialogo a Trivigliano, Nuovi orizzonti a Piglio e Fondazione Exodus a Cassino dove seguono un programma di riabilitazione residenziale.

Si conferma l’allarme, soprattutto in considerazione del fatto che i numeri ufficiali corrispondono ad almeno un terzo dei numeri veri, fatti dalle tante persone che per tanti motivi non si rivolgono ai servizi del pubblico e del privato sociale. Il boom di cocaina e crack si rispecchia negli episodi sempre più numerosi che negli ultimi anni vedono giovani protagonisti di episodi violenti. In questi giorni siamo impressionati dalla morte del povero Thomas a Pescara ma le “nostre” storie recenti di Alatri, Colleferro, Frosinone hanno tutte a che fare con le droghe che scorrono a fiumi nella nostra provincia.

I dati finalmente mettono in luce anche un altro fenomeno che riguarda sempre più spesso le ragazze: l’utilizzo di psicofarmaci senza prescrizione medica. Fatto che non si può non mettere in relazione con i fenomeni di isolamento sociale e di depressione che investono i nostri ragazzi. E con i suicidi che pure fanno sempre più impressione per la frequenza con cui caratterizzano una gioventù sempre più fragile e disorientata di fronte ai problemi della vita.

Potremmo parlare dell’alcol ma continuare a rincorrere i dati sull’uso di sostanze, da anni, non cambia le cose. Il punto è che abbiamo smesso di investire sull’educazione agli stili di vita sani. Abbiamo smesso di scommettere sulla prevenzione come risposta al disagio. Abbiamo disinvestito su tutte le azioni educative, proprio adesso che, nel post covid, la fragilità dei nostri adolescenti si vede da diversi sintomi: l’aumento dell’isolamento sociale, l’incremento degli atti di autolesionismo e di intenti suicidari. La questione delle sostanze è un effetto, ma non è l’unico: è il sintomo di una condizione di fragilità che è in costante aumento.

Ogni tanto si fanno interventi nelle scuole per parlare dei pericoli delle droghe ma dobbiamo dirci onestamente che è solo può modo per metterci a posto la coscienza: i ragazzi conoscono le sostanze e sono perfettamente consapevoli dei rischi, l’approccio disfunzionale si usava decenni fa, ma oggi sappiamo che non serve.

Droghe, alcool, dipendenze affettive, azzardo hanno tutte la stessa origine: sono modi per cercare la felicità al di fuori di sé. Sotto la dipendenza c’è sempre una sofferenza, un fuoco, su cui non basta mettere il coperchio, bisogna spegnere le fiamme.

Le strategie di lotta alla droga servono per quelli che già ci sono cascati e lottano per uscirne. Per questo abbiamo il lavoro che portano avanti i Ser.D. e le strutture del privato sociale. Anche se servono fondi e personale qualificato. Mancano medici, psichiatri e psicologi mentre le tariffe sono ferme al 2012 mentre in 12 anni il costo di tutto è raddoppiato.

Ma il punto vero è il completo disinteresse di questo Paese per le Politiche giovanili. La qualità del tempo libero che offriamo ai nostri ragazzi è pessima: il muretto, il centro commerciale, il campetto e poi? Quali spazi dedicano le nostre città ai ragazzi? Dove possono incontrarsi in maniera informale? E perché gli spazi di aggregazione di una volta non funzionano più? L’offerta ideale per il tempo libero degli adolescenti e dei ragazzi dovrebbe prevedere non attività già organizzate a cui loro si iscrivono, ma luoghi auto-organizzati. È necessario un progressivo arretramento del mondo adulto per lasciare ai ragazzi spazi da gestire, organizzare e ripensare.

A Cassino ci abbiamo provato con il Consiglio comunale dei giovani e lo stesso avviene a Sora, a Ceccano e in altri centri. Così come abbiamo inventato la “Casa di Willy” nel quartiere San Bartolomeo, sempre a Cassino, uno dei più difficili anche per la presenza di importanti luoghi di spaccio. Dico che abbiamo “inventato” perché non esistono fondi in Italia, né dal Governo, né dalle Regioni che possano essere utilizzati dalle città per aprire centri di aggregazione giovanile.

Una volta le Province erano titolari della responsabilità di attuare il Piano Locale Giovani, lo facevano con i fondi della Regione. Oggi non ci sono più né i fondi, né le competenze. Ciò non toglie però che, con un atto di coraggio e con un po’ di speranza nel futuro, ci si possa mettere intorno ad un tavolo e riaprire il ragionamento. Ai nostri ragazzi lo dobbiamo. Di segnali ce ne stanno mandando parecchi!

    Ne è valsa la pena

    Ne è valsa la pena

    Una cosa è certa: ho ricevuto molto di più di quello che ho dato. E questo è sufficiente per dire che ne è valsa la pena: dalle primarie del 2019 alle comunali di quest’anno ho perso e ho vinto e poi ho perso ancora ma la politica è entusiasmo, voglia di provarci, orgoglio di essersi messi in gioco.
    Soprattutto ne è valsa la pena perché oggi possiamo dire con certezza che la politica non è riservata ai professionisti, perché quando c’è una comunità unita da ideali ed entusiasmo si può affrontare qualunque sfida pur di essere all’altezza dei propri sogni.
    Oggi è il momento della delusione ma la passione per il bene comune continuerà in altre forme, certi che vale sempre la pena di “provare a lasciare il mondo un po’ migliore di come l’abbiamo trovato”.
    È stato un privilegio servire la mia città per cinque anni, accompagnando la speranza di chi, fra i più fragili, aveva bisogno di una risposta chiara, concreta e immediata dalle Istituzioni.
    Smaltiremo la delusione e riprenderemo il cammino al servizio del bene comune con ottimismo perché si può perdere un’elezione ma non il buonumore.
    A chi prenderà il mio posto lascio cose fatte con il cuore, progetti nati dall’incontro con le persone, mattoni solidi con i quali abbiamo reso più solida la nostra comunità.
    Ringrazio davvero tutti quelli con cui abbiamo fatto insieme questo pezzo di strada.
    Ma non si arriva se non per ripartire e siccome abbiamo dalla nostra parte l’entusiasmo, il tempo e la libertà continueremo ad occuparci di politica anche perché comunque la politica continuerà ad occuparsi di noi.
    Buona strada al Sindaco Enzo Salera e alla nuova maggioranza affinché portino avanti la rivoluzione che abbiamo iniziato insieme.

      Giornata mondiale sull’autismo

      Giornata mondiale sull’autismo

      L’occasione è nata nell’ambito del progetto “Open Sport”, il cui obiettivo è quello di favorire l’inclusione e la socializzazione delle persone in condizione di disabilità fisica o intellettiva, e delle persone che stanno vivendo una situazione di disagio relazionale a causa delle dipendenze.

      Lo sport e l’attività fisica in generale sono infatti lo strumento eletto per il miglioramento generale della vita di chi si trova in condizioni di particolare fragilità.

      Il parco che circonda la tenuta di Exodus ha accolto, sabato, quasi 70 minori disabili che sono stati seguiti da 20 operatori sportivi della disabilità, tra i quali almeno 5 istruttori specializzati nelle varie discipline. Baskin, pallacanestro in carrozzina, allenamento funzionale, karate, attività ricreative e laboratori all’aperto, hanno permesso di alzare l’asticella delle opportunità per i ragazzi e i bambini coinvolti e anche per le loro famiglie.

      Lo scopo di tutto il progetto è infatti proprio quello di disporre di un’offerta sempre più variegata e numerosa di attività sportive, praticabili anche per le persone con disabilità.

      Essere disabili o trovarsi in una condizione di disagio sociale, secondo il presupposto del progetto “Open Sport”, non può e non deve essere un limite alla possibilità di affrontare le sfide dello sport, e alle occasioni di confronto e crescita in mezzo agli altri.

      Non è stato trascurato l’aspetto sanitario e l’attenzione verso i partecipanti che hanno avuto a disposizione anche un osteopata e un medico per effettuare gratuitamente l’elettrocardiogramma a chi ne avesse fatto richiesta.

      Un incoraggiamento speciale è arrivato dall’atleta plurimedagliato Giuseppe Campoccio, conosciuto come “Joe Black”, campione paralimpico di getto del peso, lancio del disco e lancio del giavellotto, che ha al suo attivo ben 124 medaglie e si sta preparando, in queste settimane, alle Para Olimpiadi di Parigi che si svolgeranno dal 28 agosto all’8 settembre prossimi. Campoccio ha portato la sua testimonianza durante l’incontro che si è svolto nella Sala Talenti di Exodus (concomitante alla manifestazione sportiva esterna), e che ha visto, tra i partecipanti, Luigi Maccaro, responsabile Exodus Cassino e Assessore Comunale alla Coesione Sociale, la coordinatrice del progetto Open Sport Emanuela Torcinaro, l’educatrice professionale Marcella Vaccari, da Modena, Silvia Cannizzo del progetto OpenHub Lazio, il delegato provinciale del Comitato Italiano Paralimpico Eliseo Ferrante, e Franco Mazzarella del Sindacato Pensionati Italiani di Frosinone/Latina. All’incontro hanno preso parte anche molti genitori ed operatori dei ragazzi disabili, che hanno voluto lasciare la loro testimonianza parlando dell’esperienza dei rispettivi figli nei percorsi sportivi già avviati grazie ad Open Sport. Tra loro anche Laura De Fabritiis, socia fondatrice di LiberAutismo, e Isabella Mollicone, presidente di Aide.

      L’impegno di enti, associazioni e persone coinvolte ha permesso ad Open Sport di rendere operativi, già da questi giorni, gli hub sportivi di Cassino, Piedimonte San Germano e Atina, che ospiteranno ciascuno una delle discipline sportive disponibili per i ragazzi, i bambini e gli adulti disabili. I corsi, che saranno tenuti da istruttori e operatori qualificati, sono completamente gratuiti. Per accedervi è necessario contattare lo Sportello di Orientamento in modo da fissare un appuntamento o una consulenza (disponibile anche direttamente in modalità on line) con gli educatori. Successivamente al colloquio conoscitivo sarà possibile stabilire il percorso sportivo più adatto alla propria condizione o alle inclinazioni di ciascuno.

      di Barbara Mollicone

       

      Demos in maggioranza a Sora con Cerqua

      Demos in maggioranza a Sora con Cerqua

      AlessioPorcu.it, intervista di Piero Cima Sognai |

      Demos sale in cattedra amministrativa a Sora con la consigliera Manuela Cerqua investita di delega alla Biblioteca, al Museo e all’Archivio E’ la prova provata che state funzionando?

      È la prova provata che noi facciamo politica per metterci al servizio del bene comune. Prendiamo impegni con gli elettori e ci rimbocchiamo le maniche per mantener fede a quegli impegni. Come per le tante cose fatte a Cassino, anche a Sora la nostra consigliera Manuela Cerqua lascia i banchi della minoranza per assumere alcune responsabilità che, alla luce delle sue competenze professionali, ci consentiranno di contribuire all’ottimo lavoro amministrativo che sta portando avanti il Sindaco Luca Di Stefano, che ringrazio a nome di Democrazia Solidale, insieme a tutta la maggioranza che ci ha accolti.
      Biblioteca, Museo e Archivio possono migliorare diventando più accessibili e più inclusivi. Una rete di luoghi di studio e di ricerca ma anche di socializzazione e di crescita collettiva. Un impegno per il quale saremo tutti al fianco di Manuela con la serietà e la concretezza a cui siamo abituati.

      Riguardo a Cassino ha parlato di una “coalizione della serietà e della concretezza per una città solida e solidale”. Può spiegarsi meglio?

      Una coalizione è seria quando la realizzazione degli impegni presi nei confronti dei cittadini non vengono mai messi in secondo piano, per nessuna ragione, rispetto alle vicende politiche, agli interessi di partito o, peggio ancora, personali. E così è stato per i 5 anni a guida Salera. Sulla concretezza penso che non temiamo confronti con nessun’altra esperienza amministrativa del passato: dalle opere pubbliche alle assunzioni, dai progetti sociali alla gestione delle emergenze, tutti gli obiettivi raggiunti parlano dell’efficienza di questa squadra. Una città “solida” è una città con i conti a posto e il bilancio risanato che ci ha fatti uscire dal dissesto finanziario deliberato nel 2018 dal centrodestra ma anche una città che mette fra le sue priorità la sicurezza delle scuole e il dissesto idrogeologico. Mentre la città “solidale” è quella per cui ci siamo spesi molto in questi anni affinché ci fossero risposte per i cittadini più fragili: taxi sociale, emporio solidale, sostegno alla spesa e agli affitti, affido familiare, monitoraggio degli anziani soli, consulta disabili, sostegno psicologico per adolescenti. Sono le nostre parole d’ordine: serietà, concretezza, solidità e solidarietà.

      Perché a suo avviso Cassino è città migliorata rispetto a 5 anni fa e dopo tanti sfasci planetari?

      Cassino è migliorata perché la cittadinanza ha recuperato fiducia in sé stessa, scoprendosi come luogo attrattivo per un territorio molto vasto. Il simbolo è il centro pedonalizzato dove si incontrano le persone che fanno la fila per entrare a Teatro e gli studenti stranieri dell’università, le persone dei paesi vicini che frequentano i locali e che entrano nei negozi. Non ci sono più quelli che dicono dalla mattina alla sera che tutto va male e che tutto andrà sempre peggio. Finanche le opposizioni non hanno argomenti per decantare i mali di Cassino e perciò ripetono cantilene vuote del tipo “l’isola pedonale è bella ma ci voleva maggiore condivisione”. La verità è che avrebbero voluto bloccare in tutti i modi il progresso della città e i cittadini lo hanno capito.

      Dica la verità, quei 40 milioni di euro spesi nel pubblico li considera una polizza di assicurazione per vincere?

      No, la vittoria in tasca non ce l’ha nessuno. 40 milioni di euro di opere pubbliche sono un fatto storico per la nostra città, quasi una seconda ricostruzione: la prima c’è stata dopo la guerra, la seconda è avvenuta dopo stagioni politiche segnate da scarsa competenza, veti incrociati, interessi contrapposti. Noi abbiamo fatto del nostro meglio, abbiamo ridato credibilità alla politica. Ora la parola spetta giustamente ai cittadini. A quelli che si candideranno per portare il loro contributo nelle istituzioni comunali e a quelli che andranno a votare sapendo che “se tu non ti occupi della politica, la politica si occupa di te”.

      Il cambio di passo dell’Europa che lei auspica è possibile? E quale contributo potrebbe dare il voto cassinate?

      Il mondo sta andando sottosopra. La Russia, il Medioriente, l’Africa e il sud-est asiatico: troppi focolai, troppe dittature, l’America sempre più debole ci impongono uno sforzo storico per ridare centralità al nostro continente. Credo molto nel progetto degli Stati Uniti d’Europa perché solo così si potrà svolgere un ruolo di primo piano a livello politico, diplomatico, economico ma soprattutto culturale. E’ una scommessa troppo importante e noi italiani la dovremmo smettere di usare il voto europeo per regolare i conti interni. Al Parlamento Europeo dovremmo eleggere persone capaci di costruire interessi comuni di fronte al resto mondo. Sull’energia, sulla difesa, sulla salute. Dobbiamo volare alto e invece stiamo ancora qui a raccontarci la favoletta dei fondi europei. Per intercettare i finanziamenti europei servono bravi progettisti. Essere parlamentare europeo è altra cosa. Pure Exodus prende i finanziamenti europei ma mica servono i parlamentari per questo! Dobbiamo alzare il livello: anziché difendere il proprio orticello dobbiamo entrare in rete con tanti altri soggetti e costruire entità capaci di cogliere le sfide globali.

      Una Pasqua difficile…

      Una Pasqua difficile…

      È una Pasqua difficile, nella quale si fa fatica ad intravedere i segni della resurrezione.
      Perché manca la fiducia nella domenica che deve venire. Viviamo un’inquietudine nuova che facciamo fatica a raccontarci, quasi come se ce ne vergognassimo. L’attentato a Mosca, la guerra in Ucraina che dopo due anni sembra una specie di Vietnam europeo, la strage di bambini e di civili a Gaza, la corsa al riarmo… Tutto sembra dirci che si è aperta un’epoca nuova per l’Europa.
      Quella stessa Europa in cui 9 milioni di adolescenti soffrono di problemi mentali e dove il suicidio è la prima causa di morte tra i 15 e i 19 anni.
      Poi ci meravigliamo se a Cassino vanno a votare solo 200 ragazzi su tremila aventi diritto al consiglio comunale dei giovani.
      Mi sembra che siamo immersi in una nuova pandemia dove il virus del disagio avvolge tutti con ricadute sociali, educative, culturali ed anche politiche.
      Le banalizzazioni populiste (a destra come a sinistra), l’uso della paura per intercettare il consenso non fanno altro che aumentare angoscia e rancore.
      Siamo di fronte ad una specie di Mar Rosso che per essere attraversato ha bisogno di guide sicure, leader capaci e credibili.
      Serve una nuova cultura politica, senza nostalgie e senza sorrisi di plastica.
      E invece abbiamo di fronte una sfida americana come quella tra Biden, 81 anni, con una salute malferma e Trump, 77 anni, con tutti i suoi casini, che si candidano a guidare il mondo…
      Quando è finita l’epoca dei grandi sogni, del desiderio di partecipazione per cambiare il mondo e migliorare le condizioni di vita di tutti?
      Da quando abbiamo più preoccupazioni che speranze, più ansia che voglia di lottare per le conquiste sociali?
      Cercasi persone di buona volontà per lasciare il mondo un po’ migliore di come l’abbiamo trovato…
      La Pasqua siamo noi, se siamo capaci di attraversare la paura e trasformarla in speranza attraverso il nostro impegno personale e collettivo.
      Senza scuse, senza giustificazioni, senza dire “non ho tempo per queste cose” ma anche senza giudicare chi sceglie di non impegnarsi.
      Buona preparazione…

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      Il lavoro sociale

      Il lavoro sociale

      Il lavoro sociale richiede oggi un alto livello di professionalità affinché gli interventi possano concretamente migliorare la qualità della vita delle persone e delle comunità.
      Per questo ha una dimensione duplice: da un lato quella professionale dall’altro quella politica perché agente di cambiamento sociale.
      Partecipare agli incontri di formazione organizzati dal prof. Maurizio Esposito dell’Università degli Studi di Cassino è sempre un’occasione imperdibile di confronto e accrescimento delle conoscenze in un campo che è costretto a mutare profondamente e rapidamente di fronte ai cambiamenti sociali.
      In questi 5 anni di assessorato abbiamo affrontato 3 emergenze importanti: la pandemia, l’accoglienza dei profughi dall’Ucraina e la chiusura del reddito di cittadinanza. E malgrado il dissesto finanziario del Comune abbiamo lanciato numerosi progetti innovativi.
      L’abbiamo potuto fare grazie alla professionalità dei nostri assistenti sociali capaci di costruire di volta in volta una rete di protezione intorno alle persone fragili che vengono prese in carico e, allo stesso tempo, capaci di realizzare interventi di comunità rivolti a fasce di popolazione fragile.
      #cassinosociale #cassino2024 #laforzadelnoi

      La prima responsabilità è dei gestori

      La prima responsabilità è dei gestori

      Incontriamo sempre più persone con problemi di ansia, depressione, attacchi di panico che hanno trovato sollievo nell’uso di alcol e droghe, peggiorando in questo modo la loro situazione aggiungendo anche una dipendenza patologica.
      Molti ragazzi raccontano di usare cannabis perché li fa sentire meno ansiosi ma quello che sembra un aiuto nel breve termine in realtà diventa ben presto un danno enorme.
      Uno squilibrio emotivo tipico dell’età adolescenziale.
      I questionari somministrati dagli operatori dell’unità mobile hanno confermato anche per il 2023 che il 30% degli studenti delle scuole superiori ha provato almeno una volta ad usare sostanze stupefacenti.
      Educatori che stanno molto spesso tra i ragazzi nelle serate dei fine settimana per fare informazione e prevenzione.

      Non è giusto dare la colpa alle famiglie: oggi educare è impresa difficilissima. Così come è riduttivo imputare alle forze dell’ordine la mancanza di controlli. In queste vicende la prima responsabilità è dei gestori dei locali. Alcuni dei quali, in coscienza, adottano comportamenti responsabili. Altri no.