Il carcere e la città

Il carcere e la città

Ventuno anni, poco più che adolescente. Questa l’età di ragazzo morto nel carcere di Frosinone qualche giorno fa. Ha inalato il gas di una bomboletta da campeggio e sembra improbabile che possa averlo fatto per errore. Un’indagine con cui accertarlo è stata aperta dalla procura del capoluogo. Dunque potrebbe trattarsi del quarantottesimo suicidio nelle carceri italiane di quest’anno. Ma ad oggi siamo già a 50 casi e in questi primi sei mesi del ‘24 ce ne sono anche 5 che riguardano gli agenti di custodia. Il mondo delle politiche sociali deve interrogarsi, oggi più che mai, su come ridare dignità alle persone detenute.

Lo “svuota-carceri”

Mentre scrivo il Ministro Nordio presenta in Consiglio dei Ministri il decreto “svuota-carceri” con sconti di pena e facilitazioni per le misure alternative ma il sovraffollamento non è l’unico aspetto. Il vero punto, che anche questo decreto non prova nemmeno ad affrontare, è la funzione rieducativa della pena, per la quale servirebbero educatori (appunto!), psicologi, scambio con le realtà (accreditate!) del Terzo settore.

Un mondo a parte

Entro in carcere da tanti anni per incontrare detenuti con problemi di tossicodipendenza. Con loro si incontra un mondo profondamente complesso, fatto di cancelli pesanti che ti si chiudono alle spalle ad ogni corridoio. Ma anche di persone che vivono o lavorano immerse in una dimensione parallela a quella della normalità.

Cassino, Frosinone, Regina Coeli, Rebibbia, Poggio reale, Nisida: il carcere è un mondo a sé stante dove il tempo ha senso solamente nell’attesa del fine penaNon è un tempo di ricostruzione, non è un tempo di conversione, non è un tempo di rieducazione, non è un tempo di cura. Perlomeno nella stragrande maggioranza dei casi. Anche a causa della mancanza di personale.

Eppure, non occuparsi della rieducazione dei detenuti, della ricostruzione delle loro abilità sociali, dei loro percorsi formativi e di reinserimento lavorativo è il più grande danno che la società possa fare a sé stessa perché quando il detenuto esce dal carcere non ha nessuna opportunità che gli impedisca di tornare a delinquere. Non ha paura di tornare in carcere perché non ha nulla da perdere.

Il “doppio fardello”

A maggior ragione se vive una condizione di salute compromessa come il disagio psichico, la tossicodipendenza, le varie forme di disturbo della personalità. La sanità penitenziaria è lontana anni luce dalla possibilità di prendere in carico realmente la sofferenza di queste persone.

Nel libro “Il doppio fardello” il professor Maurizio Esposito, partendo da un lavoro di ricerca molto approfondito, mette a nudo tutti i limiti del sistema penitenziario sul tema del diritto alla salute di persone alle quali non solo è negata la libertà ma anche la cura di malattie croniche che, di fatto, pregiudicano le relazioni e le prospettive future. Occuparsi della loro salute è il primo modo per ridare dignità alle persone detenute.

In un’intervista Giovanni Maria Flick (ex ministro di Giustizia e presidente della Corte Costituzionale) ricorda che “il carcere viene considerato un mondo a parte, poroso ma impermeabile a qualsiasi forma di cambiamento; uno strumento di reazione alla paura del diverso”. Invece di essere utilizzato come extrema ratio, per casi particolarmente gravi è lo strumento per risolvere problemi ordinari. A parere del giurista si continua a perseguire la strada del “carcere a ogni costo” e “ci si dimentica dei diritti e della dignità del detenuto, oltre che della funzione educativa della pena”. Aggiunge: “Ma c’è un principio che spesso viene dimenticato: è la pari dignità sociale, la quale non esclude nessuno, neanche i detenuti; neanche i condannati per i reati più gravi. È una dignità che spesso viene negata nei fatti che sembrano rendere impossibile un carcere diverso da quello attuale”.

Dignità alle persone detenute

Eppure iniziative innovative e molto interessanti si intravedono all’orizzonte come ad esempio la  collaborazione tra l’Università e il Carcere di Cassino che ha portato l’anno scorso il primo detenuto al conseguimento della laurea triennale in Servizi giuridici. Il progetto “Università in carcere” sta a dimostrare che i muri si possono superare. Così come numerosi sono i Volontari che intraprendono iniziative di solidarietà verso i detenuti.

Nella nostra provincia esistono tre istituti penitenziari, Frosinone, Cassino e Paliano, nei quali gli operatori della sicurezza, gli operatori sanitari e i volontari vivono più o meno gli stessi problemi. 

Mi domando se non possa avere senso costituire un Coordinamento “Carcere e città”. Gli Assessori alle politiche sociali dei 3 Comuni interessati potrebbero animare questo tavolo per dare maggiore incisività alle iniziative che hanno al centro i detenuti, le loro famiglie, le condizioni di vita in carcere e i difficili percorsi di reinserimento. Non il carcere dove ognuno coltiva il proprio orticello, bene sicuramente, ma il carcere dentro alla città dove fare rete significa che gli operatori possono aiutarsi tra di loro, scambiare buone pratiche, che i detenuti possono contare sul sostegno integrato di varie realtà, istituzionali e del privato sociale, dove la speranza possa trasformarsi in certezza di impegno corale per ridare dignità alle persone detenute. 

È chiaro che disperazione e solitudine diventano facilmente terreno fertile per gesti estremi ma non possiamo sopportare che in Italia, finire in carcere debba significare morte della propria dignità di essere umano.

Alla Camera con Paolo Ciani

Alla Camera con Paolo Ciani

La delegazione di Demos – Democrazia Solidale della provincia di Frosinone alla Camera dei Deputati con l’on.le Paolo Ciani. L’ingresso di Barletta e Cerqua. Il protagonismo del gruppo giovani.

Il coordinamento provinciale di Frosinone di Demos – Democrazia Solidale, è stato ricevuto ieri a Roma, presso la Camera dei Deputati, dal segretario nazionale on.le Paolo Ciani.

«Vi ringrazio molto per il lavoro che state svolgendo – ha detto in apertura il segretario nazionale – e la crescita di Demos in quel territorio è il segno che state lavorando bene. Credo che abbiamo davanti la sfida importante del rilancio di una Provincia che sta soffrendo troppo e da troppo tempo. E questa sfida dobbiamo affrontarla insieme. Penso ai segnali di impoverimento della realtà industriale di quel territorio e spero che le Istituzioni regionali e nazionali sapranno dare segnali concreti di sostegno alle Imprese. Così come penso – ha continuato Ciani – ad una Sanità provinciale che vive in uno stato d’emergenza continua, dove i reparti continuano a chiudere per la cronica mancanza di personale e dove i cittadini subiscono una continua contrazione di servizi. E gli effetti sono più pesanti ovviamente sulle fasce più deboli della popolazione che non ha la possibilità di rivolgersi alla sanità privata, peraltro sempre più diffusa. Mi sento molto legato al vostro territorio e metterò il mio impegno in questa sfida comune».

Una delegazione composta da 30 persone che hanno rinnovato l’impegno a promuovere nella Provincia di Frosinone una politica non autoreferenziale ma centrata sulla vita reale delle persone, una politica capace di avere come orizzonte la costruzione di una società coesa, solidale, attenta alle fragilità, inclusiva, in armonia con l’ambiente e attente alla dignità dei lavoratori.

«In questi primi 4 anni abbiamo affrontato alcune tornate elettorali eleggendo amministratori in diversi Comuni della Provincia e dimostrando che vogliamo fare politica, occupandoci dei bisogni concreti delle persone e coinvolgendo, dal basso, cittadini e associazioni interessati al bene comune» ha affermato Luigi Maccaro, coordinatore provinciale di Demos oltre che Assessore alle politiche sociali del Comune di Cassino. «Vogliamo essere un’alternativa – ha continuato – alla politica urlata e allarmista sempre alla ricerca di contrapposizioni».

Una giornata di lavoro, di verifica e di programmazione che ha visto sul tavolo temi riguardanti l’organizzazione interna del partito, il tesseramento, i prossimi appuntamenti elettorali amministrativi ma è stata anche l’occasione per accogliere ufficialmente l’adesione di nuovi amministratori come il Sindaco di Supino, Gianfranco Barletta e la Consigliera comunale di Sora Manuela Cerqua.

«Ho scelto Demos – ha dichiarato Manuela Cerqua – perché in questo partito ho ritrovato quei principi che mi hanno spinto ad avvicinarmi alla politica, gli ideali e i valori sui quali ho improntato la mia azione politico-amministrativa, che ha come principali obiettivi la persona e il bene comune. Da oggi, intendo lavorare insieme a questo gruppo, con serietà e rinnovato entusiasmo, sulle criticità che investono più da vicino il nostro territorio, partendo dalle grandi battaglie che sta portando avanti l’on. Ciani sui temi delle periferie, dei disagi giovanili e delle azioni da mettere in campo contro le droghe, della sicurezza stradale, della pace, della giustizia sociale e dell’ambiente».

Così anche il Sindaco Barletta per il quale «entrare in Demos significa far parte di una squadra 

coesa e con la quale desidero tornare a fare la politica che parla con le persone lavorando tutti insieme per il bene del territorio cosa che purtroppo altri partiti hanno perso di vista. Da Sindaco – ha aggiunto Barletta – sento ogni giorno la responsabilità delle Istituzioni che devono trovare soluzioni ai bisogni delle persone, soprattutto le più fragili».

Un percorso, quello di Demos, cominciato da poco ma che in poco tempo si è diffuso in tutte le regioni italiane cercando di colmare quella distanza enorme che si è creata fra cittadini e politica, testimoniata dalle percentuali di astensionismo che ad ogni elezione diventa sempre più importante. Un percorso che ha coinvolto molti cittadini, amministratori, associazioni riuniti in una rete decisa a promuovere una riforma della società improntata all’inclusione sociale, alla sostenibilità ambientale, al protagonismo delle nuove generazioni e alla dignità del lavoro.

«Un percorso – ha aggiunto Manuela Maliziola, coordinatrice di Demos a Ceccano, Comune di cui è stata Sindaco negli anni scorsi – che nei prossimi mesi torneremo a presentare nei Comuni della nostra provincia organizzando incontri e momenti di confronto che ci accompagneranno fino alle amministrative del 2024».

Apprezzatissimo anche l’intervento del gruppo giovani “Spazio Z” che si è espresso attraverso la voce di Francesca Papa, studentessa universitaria che ha detto «noi non siamo i cittadini di domani come spesso ci chiamano, noi vogliamo essere interlocutori della politica già oggi, perché vogliamo capire e costruire insieme le risposte ai nostri bisogni e vogliamo essere pronti quando un domani avremo ruoli di responsabilità dentro alle Istituzioni».

L’impegno di Demos – Democrazia solidale in Provincia di Frosinone prosegue grazie anche al coinvolgimento di nuovi amministratori che vedono in questa forza politica un’esperienza di forte attenzione alle persone. Tra i presenti le delegazioni di Frosinone, guidata da Maria Grazia Baldanzi con l’ex Sindaco di Frosinone Michele Marini, quella di Ferentino guidata da Antonella Liberatori, quella di Ceccano guidata da Manuela Maliziola, quella di Cassino con i consiglieri comunali Umbaldo e Galasso, di Sora con Cerqua e di Supino con il Sindaco Barletta e sono giunti i saluti e il contributo dei gruppi di Alatri con Bruno Pietrobono e di Villa Latina con la consigliera Silvia Tusei.

Frosinone, 6 settembre 2023

Il Lazio inciampa nelle slot

Il Lazio inciampa nelle slot

Tanto tuonò che piovve. Dopo quasi dieci anni di rinvii alla fine la Regione Lazio, con il solo voto contrario del consigliere di Demos, Paolo Ciani, ha abolito la misura della rimozione delle slot machine nel raggio di 500 metri da scuole, ospedali, centri anziani.
Le sale gioco esistenti di fronte alle scuole o ai centri anziani possono continuare beatamente a proporre gioco d’azzardo legalizzato anche a persone giovani o con fragilità sociali.
Un subemendamento alla legge di assestamento del bilancio previsionale – proposta dalla Giunta e sottoscritto da consiglieri regionali di tutti i partiti, dal PD alla Lega passando per Fratelli d’Italia, Forza Italia e Gruppo misto – ha cancellato il provvedimento coraggioso che la Regione aveva approvato appena due anni fa (L.1/2020 art. 11bis). Il distanziamento viene eliminato per “tutti gli esercizi pubblici commerciali nonché alle sale da gioco già esistenti”.
Mi va di sottolineare che i consiglieri del Movimento 5 Stelle, in campagna elettorale avevano sbandierato il loro impegno in favore del distanziamento dei luoghi di gioco dalle aree sensibili.
E invece, quello che era un provvedimento legislativo sacrosanto (L.5/2013 “Disposizioni per la prevenzione e il trattamento del gioco d’azzardo patologico”) teso a contenere la diffusione delle patologie legate al gioco e a limitare le infiltrazioni della criminalità organizzata, va tranquillamente a farsi benedire nella complicità bipartisan con l’industria dell’azzardo.

L’intervento del consigliere Paolo Ciani

Unico a votare contro l’iniziativa della Giunta regionale il consigliere di DemoS – Democrazia Solidale, Paolo Ciani, che ha evidenziato come “in questi anni, tanti in quest’Aula che hanno voluto questa legge hanno cambiato idea. Come se la preoccupazione da cui erano nate le leggi nel 2013 venisse meno, quando, invece, in questi anni, purtroppo, l’azzardo è cresciuto e tante e tanti nostri concittadini sono caduti nelle maglie dell’azzardo”. Il consigliere Ciani, rivolgendosi poi ai suoi colleghi d’Aula ha aggiunto “Mi colpisce che alcuni colleghi sensibili dicano “non è che se ci sono più giochi si diffonde di più la patologia”. È esattamente così. Se ci sono più giochi si diffonde di più la patologia. Per esempio, non differenziare ciò che sono le sale gioco esplicite da bar e tabacchi, dove entrano tutti i bambini, tutti i ragazzi, tutti i cittadini, e si trovano in continuazione macchinette, gratta e vinci, Enalotto, eccetera, fa crescere esattamente questo”.

I dati sul gioco

Nel Lazio, solo l’anno scorso, sono stati giocati 11 miliardi e mezzo di euro in quasi 6 mila pubblici esercizi (bar, tabaccherie, ecc.).
In Provincia di Frosinone sono attive diverse attività di prevenzione e contrasto alla diffusione del gioco anche attraverso la presa in carico di giocatori problematici attraverso percorsi individuali e gruppi di auto mutuo aiuto. Per maggiori informazioni sulla diffusione del gioco d’azzardo nella Provincia di Frosinone è possibile consultare il lavoro di ricerca realizzato dal Laboratorio di Ricerca sociale del prof. Maurizio Esposito dell’Università degli Studi di Cassino e del Lazio meridionale (clicca qui).

L’impegno di Exodus

Da almeno dieci anni ci confrontiamo con tante richieste di aiuto legate al gioco d’azzardo, tanti familiari di giocatori che si rivolgono ai nostri centri d’ascolto nella speranza di trovare uno spiraglio, di vedere una luce in fondo al tunnel della dipendenza. Patrimoni bruciati nelle sale giochi, alle slot machine, con le scommesse sportive, case vendute, pensioni impegnate, usurai sempre appostati, drammi familiari come quelli che si ripetono da decenni solo che al posto dell’eroina e della cocaina in questi casi c’è il gioco d’azzardo. Tutto appare innocuo, a partire dalla parola “gioco”, dai gratta e vinci alle scommesse sportive, dalle slot machine ai giochi online e invece è un mondo, costruito ad arte, con meccanismi psicologici scientificamente messi a punto per creare dipendenza. Un sistema pseudo imprenditoriale, tutt’altro che trasparente, che rovina migliaia di persone. Un sistema che ha potuto proliferare in questi ultimi venti anni grazie ad una politica accecata dalla necessità di fare cassa, sulla pelle di almeno un milione di persone che oggi in Italia hanno un rapporto problematico con il gioco. Un sistema politico-imprenditoriale che ruppe gli indugi grazie al Governo che legalizzò le Sale Bingo nel 1999 e poi nel 2003 autorizzò le slot machine. Interventi seguiti da tutta una serie di provvedimenti finalizzati a favorire il fenomeno dell’azzardo con l’obiettivo di aumentare le entrate per lo Stato senza tenere in nessun conto i danni sulle persone.

Lo sciopero del caffè


Bisogna promuovere consapevolezza, anche per far sì che nessuno si senta solo ad affrontare la propria battaglia. Iniziamo con lo sciopero del caffè: non entriamo più nei bar che possiedono slot machine. Non dobbiamo arrenderci all’idea che non si possa tornare indietro, anche perché gli oltre 11 miliardi di euro, buttati nell’azzardo ogni anno solo nel Lazio, sono soldi sottratti all’economia reale, quella che produce occupazione e benessere. E’ un appello agli imprenditori affinché si decidano ad affiancarci in questa battaglia, perché quei miliardi potrebbero essere utilizzati per comprare auto, elettrodomestici, per fare la spesa, per andare al ristorante, per comprare giocattoli e così via. Undici miliardi sottratti al mondo del lavoro e dell’impresa. E’ ora di dire basta ma dobbiamo farlo tutti insieme.

Per chiedere aiuto


Per informazioni e richieste d’aiuto chiamare al numero 375.7432168 oppure scrivere a gap@exoduscassino.it

Giovani: impariamo ad ascoltarli

Giovani: impariamo ad ascoltarli

Oggi, nella Giornata per i diritti dei bambini e degli adolescenti, voglio parlarvi di un tema che mi sta a cuore: il modo in cui raccontiamo i giovani e le famiglie. Troppo spesso, quando si parla di ragazzi, il discorso si concentra sul disagio: li dipingiamo come fragili, problematici, in crisi. Dall’altra parte, i genitori finiscono sotto accusa, considerati incapaci di relazionarsi con i propri figli. È una narrazione che non funziona, e soprattutto non aiuta. Oggi più che mai, dobbiamo andare oltre.

Giovani: non una crisi, ma una risorsa

Sì, è vero, i dati mostrano delle criticità. Il 14% dei minori vive in condizioni di povertà assoluta, quasi uno studente su dieci conclude la scuola senza avere competenze di base adeguate, tanti ragazzi faticano a vedere regolarmente gli amici o vivono episodi di isolamento sociale​. Ma fermarsi a questi numeri significa dare un’immagine incompleta e ingiusta delle nuove generazioni.

I giovani non sono un problema, e nemmeno una “categoria fragile” da proteggere a tutti i costi. Sono invece una risorsa straordinaria. Nonostante le difficoltà, oltre il 60% degli adolescenti tra i 14 e i 19 anni dichiara di guardare al futuro con fiducia​. Cresce il loro impegno in attività di volontariato e movimenti per il cambiamento climatico. Questi ragazzi hanno una forza e una capacità di visione che dobbiamo riconoscere e valorizzare, non etichettare come “emergenza”.

E i genitori? Anche loro sono parte della soluzione

I genitori, a loro volta, finiscono spesso nel mirino. Uno studio recente ci dice che quasi la metà degli adulti sente di non riuscire a comunicare con i propri figli​. È facile, troppo facile, trasformare questo dato in un giudizio: “i genitori non sanno fare il loro lavoro”. Ma questa lettura è ingiusta e controproducente.

Dietro queste difficoltà, spesso, ci sono fattori esterni: il lavoro che lascia poco tempo, la pressione sociale, l’incertezza economica. I genitori non sono incapaci; sono persone che, come tutti, hanno bisogno di essere ascoltate e supportate. Non si tratta di fornire manuali d’istruzioni, ma di creare le condizioni perché le famiglie possano sentirsi parte di una rete di supporto, capaci di affrontare le sfide insieme ai propri figli.

Un cambiamento possibile, ma solo insieme

La verità è che non ci sono scorciatoie. Se vogliamo migliorare la condizione dei ragazzi e delle famiglie, dobbiamo lavorare insieme. Le scuole, le istituzioni, le associazioni, le famiglie stesse: tutti devono sentirsi coinvolti. Non si tratta di interventi miracolosi, ma di piccoli passi concreti.

Ad esempio, dobbiamo ricostruire spazi di dialogo, dove giovani e adulti possano parlarsi davvero. Troppo spesso, il problema non è la mancanza di soluzioni, ma la mancanza di ascolto. Impariamo a guardare i ragazzi negli occhi, a sentire le loro storie, a prenderli sul serio. E allo stesso modo, impariamo a riconoscere il valore dei genitori, a dar loro fiducia e strumenti per sentirsi protagonisti nel loro ruolo educativo.

Superare l’allarme per costruire responsabilità

Per fare questo, dobbiamo cambiare il modo in cui raccontiamo il disagio. Il disagio non è un’etichetta, non è una condizione definitiva. È una sfida, e come tutte le sfide può essere affrontata, se lavoriamo insieme.

Dobbiamo superare la logica degli allarmi. Le famiglie non sono “in crisi”, i ragazzi non sono “persi”. Sono parte di una società che ha bisogno di riconoscere i propri punti di forza per crescere. È qui che entra in gioco la responsabilità condivisa: smettere di cercare colpevoli e iniziare a costruire soluzioni.

Un futuro che parte dall’ascolto

La Giornata per i diritti dei bambini e degli adolescenti è il momento giusto per ricordarci che i giovani non sono numeri, né problemi da risolvere. Sono persone, con storie, sogni e potenzialità. E i genitori, come loro, non sono spettatori inermi, ma protagonisti di una comunità che può crescere solo insieme.

Guardiamo al futuro con fiducia. Non servono proclami, ma piccoli gesti concreti: ascoltare, dialogare, agire insieme. Perché non siamo emergenza. Siamo una società che ha tutto quello che serve per crescere e migliorare. Basta iniziare a crederci davvero.

La sfida educativa nelle periferie

La sfida educativa nelle periferie

Ho avuto l’opportunità di partecipare alla visita della Commissione Parlamentare sulle Periferie, invitato dall’On.le Paolo Ciani. Un’occasione importante, che ha portato i parlamentari a toccare con mano la realtà di due dei quartieri più complessi di Cassino, il Colosseo e San Bartolomeo. La visita si è conclusa proprio a San Bartolomeo, all’interno della Casa di Willy, uno spazio nato come simbolo di riscatto e attenzione al benessere delle persone, specialmente dei giovani.

Un esempio di rigenerazione sociale

La Casa di Willy è molto più di un centro educativo. Rappresenta l’impegno di un’amministrazione che ha voluto investire non solo in opere pubbliche e manutenzione, ma soprattutto nel tessuto sociale del quartiere. È un luogo di aggregazione sana ed educativa, pensato per dare ai ragazzi un’alternativa alla strada, un posto dove sentirsi accolti e supportati. Durante l’incontro, ho sottolineato ai parlamentari che questo tipo di iniziative non può restare un’eccezione. Ogni Comune dovrebbe avere a disposizione fondi per creare spazi di aggregazione, capaci di intercettare i giovani, soprattutto quelli più vulnerabili, anche attraverso interventi educativi di strada.

Investire sui giovani

Troppo spesso, infatti, le risorse pubbliche vengono destinate quasi esclusivamente alla manutenzione stradale o alle opere pubbliche, lasciando scoperti ambiti fondamentali come quello educativo. Non è possibile – ho detto ai parlamentari presenti – che si spendano milioni di euro per rifare le strade e poi non ci sia un centesimo per la protezione educativa dei ragazzi dei nostri quartieri. Questo è lo spirito con cui abbiamo voluto aprire il centro educativo a San Bartolomeo, e ci sarebbe bisogno di un’iniziativa simile anche al Colosseo, a Caira, a Sant’Angelo, a San Michele, e in tutti i quartieri di Cassino. È una necessità che le parrocchie, un tempo fulcro della vita sociale e della crescita educativa attraverso gli oratori, non riescono più a soddisfare per diversi motivi. Oggi è lo Stato, tramite i Comuni, che deve farsi carico di questa responsabilità.

Il ruolo delle istituzioni nella prevenzione

I fatti di cronaca che quotidianamente coinvolgono i giovani, tra reati violenti, episodi di bullismo, e altre forme di disagio, testimoniano che l’emergenza educativa è sempre più importante. Le istituzioni non possono più girarsi dall’altra parte o limitarsi a dare la colpa alle famiglie. Servono interventi strutturali e risorse per rispondere a queste sfide. La Casa di Willy è un esempio di buona pratica da replicare: non solo un centro, ma un progetto che coinvolge anche le realtà del terzo settore, una ricchezza inestimabile per i quartieri che può fare la differenza nella vita di molti ragazzi.

Servono impegni concreti e risorse certe

Viviamo in un’epoca in cui molti ragazzi sono soli di fronte a un mondo che si muove troppo in fretta, in cui la connessione è facile, ma i legami profondi sono rari. Sono figli di un tempo che non offre più certezze, che a volte sembra chiedere loro di crescere in un ambiente dove la violenza e il disorientamento sono all’ordine del giorno. In questa realtà, gli adulti – istituzioni, famiglie, comunità – hanno il dovere di tendere una mano, di creare spazi sicuri, di farsi garanti di una presenza che non giudica, ma guida.

Se non ci impegniamo ora a costruire luoghi come la Casa di Willy, a investire risorse nell’educazione e nella protezione dei nostri ragazzi, rischiamo di lasciare una generazione senza bussola, in balia di scelte difficili e spesso autodistruttive. La vera sfida per le periferie, e per tutti noi, è costruire insieme un futuro che non abbandoni i nostri giovani, ma li accompagni, con la pazienza e la cura che meritano.

Quando l’abitudine diventa compulsione

Quando l’abitudine diventa compulsione

Che cosa sono le dipendenze comportamentali?

Le dipendenze comportamentali, a differenza delle dipendenze da sostanze, non derivano da un consumo di prodotti come alcol o droghe, ma da comportamenti che si trasformano in abitudini compulsive. Si tratta di dipendenze che coinvolgono attività apparentemente innocue o quotidiane, come il gioco d’azzardo, il gaming, lo shopping online e l’uso dei social media. Quando una persona sviluppa una dipendenza comportamentale, la sua necessità di ripetere quell’attività diventa irrefrenabile, e la persona non riesce a ridurla o a controllarla, anche quando questa inizia a compromettere la sua vita quotidiana e i suoi rapporti.

A livello scientifico, queste dipendenze sono spesso paragonate a quelle da sostanze per via del loro effetto simile sul cervello: coinvolgono il sistema di ricompensa e gratificazione, portando la persona a provare una sorta di “picco di piacere” ogni volta che ripete l’attività. Col tempo, questo schema si consolida e il bisogno di ripetere il comportamento diventa sempre più difficile da gestire.

Segnali e sintomi di una dipendenza comportamentale

Proprio come nelle dipendenze da sostanze, le dipendenze comportamentali presentano segnali che possono allertare chi ne soffre o chi gli è vicino. Alcuni dei sintomi più comuni includono:

  • Ossessione per l’attività: il comportamento diventa il pensiero principale della persona, che dedica tempo ed energia a pensare a quando potrà ripeterlo.
  • Modifica dell’umore: l’attività porta temporaneamente un senso di piacere, rilassamento o fuga dai problemi quotidiani, diventando un rifugio emotivo.
  • Problemi relazionali e sociali: la persona trascura amici, famiglia o altre attività importanti per dare priorità alla sua dipendenza, spesso causando tensioni o conflitti.
  • Astinenza e irritabilità: quando prova a ridurre o interrompere l’attività, la persona può manifestare segni di malessere, ansia o irritabilità.

Gli indicatori principali della dipendenza comportamentale

Secondo i ricercatori, ci sono alcuni criteri per identificare una dipendenza comportamentale. Questi criteri aiutano a distinguere un semplice piacere da una vera e propria dipendenza:

  • Focalizzazione: l’attività diventa la priorità principale nella vita della persona, al punto da oscurare altre occupazioni o interessi.
  • Modifica dell’umore: l’attività influisce sullo stato d’animo, fungendo da valvola di sfogo o soluzione momentanea per problemi emotivi.
  • Tolleranza: la persona ha bisogno di aumentare la frequenza o l’intensità dell’attività per provare lo stesso grado di piacere o soddisfazione.
  • Sintomi di astinenza: il tentativo di ridurre l’attività provoca disagio o irritabilità.
  • Conflitto: nascono tensioni o problemi con familiari, amici o colleghi a causa del tempo e dell’energia dedicati alla dipendenza.
  • Ricaduta: nonostante gli sforzi per interrompere o ridurre l’attività, la persona torna a praticarla, spesso con un senso di perdita di controllo.

Perché sviluppiamo dipendenze comportamentali?

La dipendenza comportamentale si sviluppa spesso come risposta a stress, noia, ansia o situazioni difficili. Attività come il gioco d’azzardo o l’uso dei social media possono sembrare un modo semplice e immediato per evadere dalla realtà o per sentirsi appagati, ma questo sollievo è solo temporaneo. Con il tempo, il comportamento da piacevole diventa compulsivo e sfugge al controllo, spingendo la persona a ripetere l’attività nonostante i danni che essa provoca.

Prevenzione e trattamento delle dipendenze comportamentali

Exodus propone alcuni percorsi per affrontare questo problema: consulenza educativa, psicoterapia, centro diurno semiresidenziale. Percorsi che possono aiutare le persone a sostituire l’attività compulsiva con comportamenti più sani e soddisfacenti.

La prevenzione gioca un ruolo fondamentale, soprattutto tra i giovani, che sono più vulnerabili a sviluppare abitudini malsane legate a social media, gaming o shopping online. Educare alla gestione del tempo, al riconoscimento dei sintomi di dipendenza e all’importanza di mantenere un equilibrio nelle attività quotidiane può essere di grande aiuto per ridurre il rischio di sviluppare dipendenze.

Conclusione

Le dipendenze comportamentali sono una realtà complessa e diffusa, che può influire seriamente sulla qualità della vita. Anche se si tratta di attività apparentemente innocue, quando diventano ossessioni finiscono per interferire con la salute mentale e fisica, minando il benessere dell’individuo e delle sue relazioni. Riconoscere i segnali e agire tempestivamente è essenziale per evitare che l’abitudine si trasformi in un problema cronico. Con un intervento appropriato e il supporto di professionisti, è possibile superare le dipendenze comportamentali e ripristinare l’equilibrio.

Adolescenti e nuove dipendenze

Adolescenti e nuove dipendenze

Intervista di Katia Valente | Dipendenze da mondo virtuale, da quell’universo nel quale i ragazzi si rifugiano, allettante e modaiolo, ma che in realtà li sbanda, li devia, li porta sulle strade del- l’apparenza e della teatralità a tutti costi, ma anche lungo i sentieri delle droghe facili con una naturalezza disarmante.
Dipendenze accanto a quelle già conosciute e un mondo degli adulti che, spesso, resta alla finestra. Ma, anche e per fortuna, luoghi come la Casa di Willy a San Bartolomeo o il neonato Centro diurno di Exodus intitolato a don Lorenzo Milani come possibilità di accoglienza degli adolescenti e di rilancio autentico nella “vita reale”. Luigi Maccaro, responsabile della Fondazione Exodus di Cassino e già assessore comunale ai Servizi Sociali scatta una fotografia di questa nuova generazione e lancia un appello al presidente della Regione Rocca per costruire collaborazioni con Comuni e Terzo settore. Anche perché Centri giovanili e interventi educativi di strada, sono esattamente le risposte che servono.

Nuove dipendenze che si diffondono a macchia d’olio, la più insidiosa è quella da tecnologia? Com’è la situazione?

«Assolutamente sì, la tecnologia è una dipendenza insidiosa, ma non è solo questo: oggi per i ragazzi è uno scudo e allo stesso tempo una gabbia. La chiamano la “generazione ansia” e non è un caso. Vivono in un mondo dove ogni cosa è monitorata, dove si aspettano da loro risultati eccellenti, e dove il confronto è continuo. La tecnologia diventa un rifugio, ma alla fine si trasforma in una prigione, perché invece di permettere ai ragazzi di evadere, li espone ancora di più a questo controllo e confronto costante. E se non trovano modi per uscire da questa rete, il rischio è che il loro malessere cresca e diventi sempre più difficile da gestire».

Quale divario tra la realtà e l’online per i ragazzi? Quale la loro percezione?

«Molti ragazzi vivono questo distacco tra la vita online e quella reale come un peso. Online, sembra che tutti siano migliori, più felici, sempre al top, e loro si sentono obbligati a essere all’altezza, come se fosse una recita continua. È una pressione che li spinge a idealizzare il mondo digitale, mentre nel mondo reale non riescono mai a sentirsi abbastanza. Ecco perché tanti ragazzi si sentono bloccati, frustrati, senza strumenti per difendersi da questo confronto incessante. Lontano dagli schermi però c’è una libertà che dobbiamo aiutarli a ritrovare: il piacere di fare esperienze vere, con persone vere, senza preoccuparsi di essere perfetti o di piacere per forza».

Di cosa avrebbero bisogno nella più delicata delle fasi della crescita, l’adolescenza?

«In adolescenza, i ragazzi avrebbero un bisogno semplice ma fondamentale: essere lasciati liberi di sbagliare e scoprire chi sono senza sentirsi sotto esame.
Devono poter sperimentare, magari anche trasgredire, per imparare a cavarsela. Ma spesso noi adulti li controlliamo così tanto, e con aspettative così elevate, che rischiano di spegnersi. Anziché imparare dai propri errori, si sentono sempre in dovere di fare la cosa giusta e diventano quasi paralizzati dall’ansia di deludere. Credo che dobbiamo imparare a fare un passo indietro e fidarci di loro, lasciando che scoprano la propria strada. È così che cresceranno davvero, sviluppando una forza che sarà loro per tutta la vita».

La diffusione della droga corre anche online? Ci sono ramificazioni anche attraverso l’uso di uno smartphone?

«Purtroppo sì, e questo è allarmante. Oggi il web e i social sono diventati dei veri canali per il mercato delle droghe, accessibili in modo impressionante. Attraverso chat e social, i ragazzi possono trovare tutto, anche sostanze, con pochi clic, senza nemmeno uscire di casa.
Non solo: ci sono gruppi che normalizzano l’uso delle droghe, facendo sembrare che “provare” sia una parte quasi obbligata della crescita, come se fosse una tappa normale. È una realtà molto preoccupante, perché rende tutto fin troppo accessibile e facile, abbassando quei freni che potrebbero scoraggiarli. Combattere questa situazione significa prima di tutto riconoscere il problema: servono più monitoraggio, sensibilizzazione, e anche un impegno concreto delle piattaforme online per arginare questi rischi. Non possiamo ignorare quanto sia importante aiutare i ragazzi a sviluppare spirito critico e autocontrollo, perché la tecnologia non diventi una strada diretta verso pericoli reali».

Quali luoghi per prevenire e quali rimedi per “curare”?

«La prevenzione e il supporto concreto devono partire dai luoghi dove i ragazzi vivono ogni giorno, ma per farlo occorrono risorse e strutture accessibili in ogni area. È per questo che rivolgo un appello alla Regione Lazio e al Presidente Francesco Rocca, che so essere molto sensibile a questi temi, affinché possiamo lavorare insieme per portare fondi necessari sui territori, così da promuovere la nascita di centri di aggregazione giovanile. A Cassino, ad esempio, abbiamo aperto la Casa di Willy a San Bartolomeo grazie alle risorse comunali: un luogo di riferimento, sicuro e accessibile, dove i giovani trovano ascolto e attività per crescere in modo sano. Ma c’è ancora molto da fare. È altrettanto importante promuovere interventi educativi di strada, soprattutto nei luoghi della movida e del tempo libero, perché a volte sono proprio i ragazzi più a rischio quelli che tendono a sfuggire ai contesti più controllati.
Per raggiungerli, è fondamentale andare direttamente nei loro spazi abituali, instaurando un dialogo sincero e senza pregiudizi. Abbiamo la responsabilità di avvicinarci a loro, per offrire supporto, ascolto e strumenti per affrontare le difficoltà che incontrano, evitando che si sentano soli o isolati».

Una giornata di memoria, impegno e speranza

Una giornata di memoria, impegno e speranza

Oggi è stata una giornata ricca di emozioni e significato, dedicata alla memoria di Willy Monteiro Duarte, un ragazzo il cui sacrificio continua a rappresentare un simbolo di giustizia e solidarietà. L’Istituto IIS “Medaglia d’oro – Città di Cassino” ha ospitato un incontro che ha coinvolto studenti, docenti e rappresentanti delle istituzioni, uniti nel ricordo di Willy e nell’impegno per un futuro migliore.

L’intervento a scuola

La mattinata è iniziata nell’aula magna dell’Istituto, dove gli studenti hanno partecipato a un momento di riflessione condivisa. Nel mio intervento, ho sottolineato l’importanza di trasformare la memoria di Willy in azioni concrete, evitando che il suo sacrificio venga dimenticato. Abbiamo parlato della necessità di promuovere comportamenti nonviolenti, tolleranza e amicizia tra i ragazzi. Ho anche ricordato il coraggio straordinario della mamma di Willy, Lucia, che ha trasformato il dolore in un progetto educativo, offrendo testimonianza e speranza ai giovani.

Visita alla “Casa di Willy”

La giornata è proseguita presso “La casa di Willy”, il centro di aggregazione giovanile inaugurato nel quartiere San Bartolomeo. Questo spazio, nato con il sostegno del Comune, rappresenta un punto di riferimento fondamentale per i ragazzi del territorio. Qui, i giovani possono trovare un ambiente sicuro, educativo e stimolante, dove crescere e confrontarsi. Il centro è un tributo concreto alla memoria di Willy e un impegno tangibile per costruire una comunità più giusta e solidale.

Condivisione in Comunità Exodus

La giornata si è conclusa con un pranzo presso la Comunità Exodus, un’altra realtà che lavora quotidianamente per offrire ai giovani un’alternativa alla strada e alla solitudine. È stato un momento di condivisione autentica, dove abbiamo ribadito l’importanza di spazi di aggregazione e di progetti educativi che mettano al centro i ragazzi.

Un messaggio di speranza

Questo incontro ha lasciato un segno profondo: la memoria di Willy non è solo un ricordo, ma un impegno collettivo. Come comunità, dobbiamo continuare a chiedere risorse e attenzione per i giovani, investendo in spazi e progetti educativi. Solo così potremo trasformare la violenza in speranza, proprio come ha fatto la signora Lucia, che con il suo esempio ci ricorda ogni giorno il valore della solidarietà e del cambiamento.

Una giornata che non dimenticheremo, con l’obiettivo di costruire insieme un futuro migliore per tutti i ragazzi della nostra città.

Gioco d’azzardo: il dramma nascosto dietro lo schermo

Gioco d’azzardo: il dramma nascosto dietro lo schermo

Sempre più giovani, inghiottiti dal vortice del gioco d’azzardo, cadono nella trappola. Clic dopo clic, una scommessa dopo l’altra, inseguono l’illusione di poter vincere, di ribaltare il proprio destino, di dominare una partita truccata. Quello che credono essere solo un gioco si trasforma, però, in un abisso senza fine. Questi ragazzi finiscono stritolati in un ingranaggio che non perdona, che risucchia ogni risorsa: economica, sociale, personale.

Non è solo un fenomeno legato alla fragilità individuale: è un dramma collettivo, un cancro che si espande silenziosamente. E la provincia di Frosinone non fa eccezione. Lo conferma la ricerca dell’Università di Cassino, realizzata dal Laboratorio di Ricerca Sociale diretto dal professor Maurizio Esposito. Dati durissimi, che ci sbattono in faccia una realtà allarmante.L’indagine evidenzia come il gioco d’azzardo stia corrodendo non solo chi vive già ai margini, ma anche giovani. Giovani che, a causa della crisi economica e lavorativa, vedono nella vincita facile un’uscita dalla disperazione. È una discesa lenta e inesorabile, spesso nascosta anche a chi è vicino.

Il click della rovina

C’è un dato che fa impressione. Dopo la pandemia, il gaming online è esploso con un aumento del 130%. Mentre le vecchie slot machine perdono terreno, i giochi e le scommesse online crescono a dismisura. Nel 2023, le somme giocate dagli italiani sono arrivate a rappresentare il 16% del reddito imponibile. Un dato che parla chiaro: i giovani italiani fra i 25 e i 34 anni hanno aperto oltre un milione e duecentomila conti gioco online. Un milione di vite potenzialmente a rischio di essere rovinate.E il vero pericolo? La dipendenza da gioco online è subdola, nascosta, lontana dagli occhi di chi potrebbe intervenire. I genitori, gli amici, non vedono. I giocatori sono soli, davanti a uno schermo che inganna e che non lascia scampo. Quello che sembra un passatempo innocente, si rivela una trappola inesorabile. E troppo spesso, quando se ne rendono conto, è già tardi.

Servono risposte nuove

Il primo punto di riferimento anche per le persone con dipendenza da gioco è il Servizio per le Dipendenze della Asl. In provincia ce ne sono quattro: a Frosinone, Cassino, Sora e Ceccano. Ma serve fare di più. Per questo dal 1° settembre, in collaborazione con il Ser.D. di Cassino e la Asl di Frosinone, abbiamo attivato un nuovo Centro Diurno per le dipendenze comportamentali, incluso il gioco d’azzardo. Un rifugio per chi non sa più come uscire dal tunnel. Un luogo dove chi soffre può trovare un programma di riabilitazione, dove affrontare la propria dipendenza con il supporto di professionisti, attraverso psicoterapia, sport e sostegno. Un luogo dove tornare a respirare.In realtà già da due anni, in collaborazione con il Consorzio per i Servizi sociali, è stato attivato un gruppo di auto aiuto per giocatori problematici che finora ha coinvolto una trentina di persone. Ma c’è ancora tanto da fare per sensibilizzare il territorio di fronte a questa piaga sociale.

Un problema che riguarda tutti

Siamo di fronte a una battaglia che la società non può più ignorare. Non è più possibile chiudere gli occhi. Serve un’azione collettiva, che parta dall’educazione nelle scuole e arrivi alla regolamentazione dell’offerta di gioco. Troppe sale giochi, troppi luoghi di tentazione a portata di mano. Dal punto di vista medico e della salute mentale non possiamo permettere che i bar e i tabaccai diventino luoghi di perdizione. Ben vengano posti dedicati esclusivamente al gioco ma fuori dai centri abitati.La recente introduzione delle nuove linee guida per l’educazione civica nelle scuole parla finalmente di prevenzione delle dipendenze: prendiamo la palla al balzo. Immaginate l’impatto che avrebbe un’ora di educazione civica passata in una comunità come Exodus, a contatto con chi ha toccato il fondo.Sarebbe un’esperienza formativa, reale, che colpirebbe al cuore. Solo così possiamo davvero sperare di prevenire il disastro.
Ludopatia: una nuova risposta da Exodus Cassino

Ludopatia: una nuova risposta da Exodus Cassino

Image by freepik
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Intervista di Carmela Di Domenico per Ciociaria oggi di lunedì 16 settembre 2024

Sempre più giovani inghiottiti dal gioco d’azzardo, spesso a portata di click. Inseguendo l’illusione di farcela, di poter pianificare una vincita, di mantenere il controllo. E che invece finiscono stritolati dagli ingranaggi di quella che è una vera e propria dipendenza. Così se l’Università di Cassino con lo studio realizzato dal laboratorio di Ricerca Sociale, ha “ristretto” l’età delle vittime del gioco d’azzardo, l’analisi del Responsabile di Exodus, Luigi Maccaro, ha allagato le maglie. Anzi, in realtà, le maglie sono così tanto larghe che si è reso necessario dal 1° settembre dare il via ad un nuovo Servizio, promosso in collaborazione con il Ser.D. di Cassino e la Asl di Frosinone: un centro diurno per le dipendenze comportamentali, in cluso il gioco d’azzardo. Una comunità semiresidenziale dove i dipendenti da gioco possono seguire un programma di riabilitazione.

Dipendenza da gioco d’azzardo. A gennaio il report della arcidiocesi di Gaeta indicava Coreno “sul podio” con un primato tutt’altro che positivo. Una situazione non dissimile da quella di altri Comuni del Cassinate… A che punto siamo ora?

La situazione nel Cassinate, purtroppo, resta preoccupante. La recente ricerca dell’Università di Cassino, realizzata dal Laboratorio di Ricerca Sociale diretto dal prof. Maurizio Esposito, ha messo in luce dati significativi sul gioco d’azzardo nella provincia di Frosinone. L’indagine ha contribuito a definire e quantificare il fenomeno, evidenziando come molti giocatori tendano a sottovalutare la gravità della loro situazione, fino a trovarsi costretti a chiedere aiuto per problemi economici o sanitari. Interessante è anche la correlazione tra bassa scolarizzazione e frequenza del gioco, così come l’aumento del fenomeno tra giovani adulti, tra i 18 e i 35 anni, a causa della crisi economica e lavorativa..

Giochi d’azzardo sempre più a portata di click. Quanto pesa la dipendenza “telematica”?

È impressionante la crescita del gaming online post pandemia: +130%. Mentre il canale fisico, le vecchie slot machine per intenderci, è calato di oltre l’8%. Non solo: le somme giocate dall’italiano medio nel 2023 sono arrivate al 16% del reddito imponibile dichiarato (erano l’11% nel 2019). I dati ufficiali segnalano che nel 2022 i giovani italiani fra i 25 e i 34 anni, hanno aperto oltre un milione e duecentomila conti sulle piattaforme di gioco online. La facilità con cui si può accedere a piattaforme online, specialmente via smartphone, ha aumentato il rischio, soprattutto tra i giovani e le persone che già vivono in isolamento. Questo tipo di dipendenza è spesso più difficile da individuare perché avviene lontano dagli occhi di chi potrebbe intervenire, come familiari o amici.

Exodus è sempre in prima linea quando si parla di prevenzione. Con progetti rivolti alle comunità locali, prima di tutto per informare. Ma per quelli che hanno già il problema?

Intanto il primo punto di riferimento è il Ser.D. Ormai da qualche anno, in collaborazione con il Consorzio dei Servizi Sociali, portiamo avanti il progetto “A che gioco giochiamo?” che prevede incontri di informazione nei 26 Comuni, Centro di ascolto e orientamento, Gruppo di auto aiuto per giocatori problematici (Qui la pagina web dedicata al progetto “A che gioco giochiamo?”). Ma dal 1° settembre c’è un nuovo servizio, promosso in collaborazione con il Ser.D. di Cassino e la ASL di Frosinone: un Centro diurno per le dipendenze comportamentali, incluso il gioco d’azzardo. Una comunità semiresidenziale, aperta tutti i giorni dalle 9 alle 17 dove i dipendenti da gioco possono seguire un programma di riabilitazione che utilizza tanti strumenti, dalla psicoterapia allo sport. (Qui la pagina web dedicata al Centro diurno Exodus Cassino)

Spesso si tende a minimizzare, invece è una dipendenza su cui intervenire in modo professionale. Chi chiede aiuto? Le famiglie o le persone interessate?

La maggior parte delle volte sono le famiglie a chiedere aiuto per primi, quando si rendono conto del problema. Tuttavia, anche le persone direttamente coinvolte cercano sempre più spesso supporto, soprattutto quando iniziano a vedere gli effetti negativi sul loro benessere economico e sociale. È fondamentale un intervento professionale per evitare che la situazione degeneri ulteriormente.

Vi sono storie più di altre che possono essere sintomatiche della situazione vissuta nel Cassinate?

Mi ha colpito di recente la storia del centrocampista della Juve Nicolò Fagioli. Una persona giovane, famosa e ricca che chiede aiuto è uno sprone per tutti quei giocatori che hanno paura, si vergognano e non riescono a chiedere aiuto. Di storie così ce ne sono tante anche da noi. Parlano di persone fragili, vulnerabili, vittime di un’offerta di gioco incredibilmente esagerata. Quello che serve è una legge capace di restringere quest’offerta. Bisogna diminuire gli orari, allontanare i luoghi del gioco da abitazioni, scuole, uffici. Bisogna togliere il gioco dai bar e dai tabaccai creando degli esercizi commerciali riservati al gioco fuori dalla portate delle persone fragili.

La società cosa deve fare?

La società deve affrontare il problema a partire dall’educazione. Da quest’anno scolastico sono entrate in vigore le nuove linee guida per l’educazione civica. Fra le altre cose c’è un’attenzione particolare alla prevenzione e al contrasto delle dipendenze derivanti da droghe, fumo, alcool, doping, uso patologico del web, gaming e gioco d’azzardo. Sarebbe molto bello che qualche scuola decidesse di portare gli studenti a Exodus per un’ora di educazione civica: potrebbe essere molto, molto formativa! (Qui la proposta formativa per gli studenti “Un giorno in Comunità”).

Solitudine e fragilità: l’ombra nascosta della generazione iperprotetta

Solitudine e fragilità: l’ombra nascosta della generazione iperprotetta

Diciassettenne pluriomicida: solitudine e fragilità opprimono gli adolescenti di oggi, generazione iperprotetta vittima di un mondo virtuale che alimenta fragilità e isolamento.

Stavolta la droga non c’entra, l’alcol non c’entra, la malattia mentale non c’entra. Non c’è bullismo, non c’è separazione dei genitori, non c’è abuso di social, anzi. Riccardo, 17 anni, era studioso, serio, sportivo, tranquillo e con la fidanzata. Ma si sentiva solo. La solitudine lo opprimeva. In mezzo agli altri si sentiva un corpo estraneo e così era pure in famiglia. Da qualche giorno gli girava in testa uno stesso pensiero: eliminare quelli che non lo capivano. Quelli che avrebbero dovuto essere motivo di gioia, di sicurezza, di protezione: la famiglia. E che invece nella sua testa rappresentavano il contrario, il motivo del suo disagio. (Leggi qui: Strage in famiglia, il ragazzo al pm: ‘Vivo un malessere’ ma era lucido. Nessun movente accertato).

Il disagio

Quello stesso disagio che ogni adolescente affronta ogni giorno e di fronte al quale ogni genitore è costretto a domandarsi dove ha sbagliato, cosa è andato storto, cosa sarebbe potuto andare diversamente. Mentre i ragazzi pensano a come liberarsi da quell’oppressione, Riccardo covava l’assurda idea omicida che partiva da un pensiero ossessionante: «Non avevo un vero dialogo con nessuno. Era come se nessuno mi comprendesse». Per tanti ragazzi la fuga dal disagio si trasforma in bullismo, uso di alcol e droghe, abuso di internet e videogame. Per altri invece, forse come Riccardo, sempre di più negli ultimi anni, la fuga dalla realtà diventa una specie di auto condizionamento mentale che diventa ansia, attacchi di panico, angoscia immotivata. (Leggi qui: Occhi chiusi per non vedere la droga che uccide i nostri ragazzi).

La generazione ansiosa

I nostri adolescenti sono quelli che hanno chiuso l’epoca del gioco e hanno aperto l’epoca dello smartphone. Hanno cambiato completamente il modo di essere bambini e ragazzi. Si immergono per ore nel mondo virtuale fatto di immagini e video che rimandano un messaggio denominatore comune: la felicità non è dove sei tu, è qui dove stiamo girando questo video. E tu non ci sei. Da qui nasce l’ondata di ansia, depressione, disturbi alimentari, istinti autolesionisti e suicidari. L’ondata di malattia mentale che investe il mondo degli adolescenti da dieci anni a questa parte.

Dalla scoperta della vita alla difesa dalla realtà

Prima i ragazzi erano presi dalla voglia di scoprire la vita, avevano fretta di diventare adulti, conoscendo il mondo conoscevano sé stessi e sbattendo il muso contro le illusioni intanto si rinforzavano e si preparavano alla vita adulta. Poi sono diventati grandi e sono diventati genitori e sono diventati protettivi, anzi, iperprotettivi. Oggi possiamo localizzare in qualunque momento i nostri figli e, volendo, potremmo attivare da remoto il microfono del loro telefono per ascoltare quello che gli succede intorno, con chi parlano e di cosa parlano (Leggi qui: Cellulari fuori, educazione dentro. Adulti sotto esame). Quando però girano per 7/8 ore al giorno su internet, non sappiamo dove vanno, cosa vedono e cosa leggono. Ci piace pensare che stando sul letto della loro camera non corrano nessun rischio. Nel frattempo quella voglia di scoprire il mondo si è trasformata in necessità di difendersi da tutto. Tutto è un pericolo, tutto è una minaccia. Anziché cercare nuove esperienze cercano di difendersi dall’ansia.

Parliamone

Chi ha tolto ai nostri figli la fiducia nel futuro? E nel prossimo? Chi ne ha fatto una generazione di persone fragili e apprensive? Chi gli impedisce di affrontare rischi ed emozioni, di imparare a dominare le proprie paure, di sviluppare quelle capacità di affrontare i problemi e le conseguenze del loro agire? Siamo noi genitori, resi ansiosi a nostra volta dalla società della paura nella quale viviamo, dove certa politica e certa comunicazione ci hanno insegnato a prendere le distanze da tutto ciò che è altro da noi. E così ci ritroviamo figli spesso incapaci di badare a sé stessi, incapace di gestire conflitti e frustrazioni. Fragili e soli, come Riccardo. Non ci sono soluzioni drastiche efficaci, non ci sono ricette, ogni adolescente è una foresta di sentimenti, ogni famiglia è un mondo a parte. Ma bisogna parlarne, confrontarsi, non avere paura. Provare con fiducia a darsi delle regole, accettare il conflitto coni figli, consapevoli che è proprio dentro al conflitto che i figli si rafforzano. Nel confronto che, scoprendo le differenze, imparano a conoscere sé stessi. Senza darsi obiettivi stupidi come assomigliare alla famiglia del Mulino Bianco. A Riccardo non è servito. Non serve a nessuno.

(Foto di Copertina © freepik)

Stop agli smartphone in classe

Stop agli smartphone in classe

Da settembre il cellulare resta a casa o al massimo chiuso nello zaino. Ritorna il caro vecchio diario di carta per segnare i compiti. Smartphone banditi dunque, anche per uso didattico sotto il controllo degli insegnanti.
L’uso eccessivo della tecnologia ha un impatto negativo e potenzialmente pericoloso sullo sviluppo cognitivo dei ragazzi. Per non parlare del crollo del rendimento scolastico degli adolescenti. Distrazione, perdita di memoria e di concentrazione, diminuzione della capacità dialettica e di spirito critico. Con tanto di studi scientifici a supportare la decisione del Ministro accolta con favore da tanti genitori rassicurati dal provvedimento.
Insomma il nemico smartphone è messo all’angolo. Ed ora? Assisteremo ad un cambiamento generazionale epocale? Ai social abbiamo dato la colpa di fronte ai ragazzi depressi, a quelli che si comportano male con gli adulti, a quelli che non vanno bene a scuola, di fronte agli episodi di bullismo e alle sfide pericolose. Tutto il disagio e la sofferenza giovanile di questi anni hanno trovato una causa, il famigerato cellulare che adesso dovrà vedersela con il Ministro dell’Istruzione. Quanto ci piace semplificare la complessità del nostro tempo! Anche perché così abbiamo più tempo per postare su tutti i social le nostre opinioni, la nostra vita privata, la rappresentazione di noi stessi che ci fa sentire all’altezza di una timeline straboccante di modelli di successo. Sarà anche per questo che andiamo perdendo credibilità di fronte ai ragazzi?

Torniamo a fare gli adulti

Non c’è dubbio che oggi fare il genitore è più complicato di ieri: l’era digitale mette i ragazzi su un piano diverso dal nostro approccio “analogico” alle cose della vita. Però l’uso smodato della tecnologia e dei social, diciamocelo, riempie un vuoto, per un per un bel po’ di tempo delle nostre giornate. E poi lascia un vuoto ancora più profondo. E piano piano diventa come una droga. Ti da la sensazione di benessere, di euforia, ti fa dimenticare i problemi, poi finisce l’effetto e i problemi tornano ingigantiti. E si ricomincia. Un circolo vizioso che giorno dopo giorno, mese dopo mese, anno dopo anno ci va trasformando in adulti sempre meno adulti e sempre più adolescenti. Sempre più fragili. E magari pensiamo anche che i nostri figli non se ne accorgano. Però tutti a parlare della fragilità degli adolescenti confortati da studi, statistiche, esperti e gridi d’allarme.

Fuori il cellulare, dentro l’educazione digitale

Mettere al bando il cellulare non basta. A noi adulti, a scuola e in famiglia, resta il compito di educare ad un uso consapevole e responsabile dello smartphone e dei social. Da dove si comincia? Con un po’ di umiltà bisogna imparare alcune cose prima di spiegarle ai ragazzi. In rete si trova di tutto ma anche questo approccio rischia di essere semplicistico di fronte a questioni così complesse. La cosa migliore è partecipare a qualche momento formativo rivolto agli adulti, genitori e insegnanti, con la presenza di esperti. Gli incontri “in presenza” sono importanti perché consentono di confrontarsi, porre dubbi, sperimentare gli strumenti, ad esempio di parental control, condividere soluzioni, buone prassi e abbassare il livello di ansia. Il primo bisogno dei genitori è quello di non sentirsi soli perché il senso di impotenza ovviamente prelude all’atteggiamento rinunciatario. E a forza di rinunciare ad educare i figli stiamo finendo per rinunciare a farli i figli.

L’Università della Famiglia

Ci sono tante realtà del terzo settore, ma anche Scuole e qualche Comune, che organizzano incontri di formazione per genitori ed insegnanti. Exodus ha lanciato diversi anni fa l’Università della Famiglia che, anche quest’anno, ad ottobre, riaprirà le attività con incontri animati da esperti con lunga esperienza di lavoro con gli adolescenti, nel campo del disagio giovanile, delle dipendenze, della relazione educativa e della progettazione sociale. La famiglia e la scuola sono i fattori di protezione più importante contro la sofferenza che galoppa tra i giovani, soprattutto dalla pandemia in poi. Informarsi, capire ed educare è un compito e una responsabilità a cui non possiamo sottrarci. Proviamo a farlo insieme, proviamo a farlo tutti.

Foto di copertina: Image by freepik

Giovani: mancano le strategie

Giovani: mancano le strategie

Dipendenze e educazione alla felicità. Nonostante le attività poste in essere, la prevenzione, le campagne informative (sempre troppo poche) ciò che manca sembra essere un’analisi vera sullo stato emotivo dei ragazzi. E dei meno giovani.

Perché i ragazzi sono tornati a drogarsi? Questa è la domanda che ci stiamo facendo da quando con il calo dell’eroina invece di diminuire i tossicodipendenti sono aumentati di dipendenti da qualunque cosa. La risposta più ricorrente, ad ascoltare proprio i ragazzi, è il vuoto che sentono dentro. Un vuoto che nasce dalla incapacità di dare senso alle cose della vita: la famiglia, la scuola, il tempo libero, le amicizie, le passioni come la musica o lo sport. Ma siamo noi adulti che non sappiamo più insegnare a dare senso alle cose. Da quel vuoto i ragazzi cercano di fuggire provando a riempirlo con quello che la società gli mette a disposizione: alcol, fumo, sostanze, gioco, sfide estreme. Le cose che attivano dopamina e scariche di adrenalina nel cervello e ti fanno sentire vivo.

Non è un caso che il numero dei suicidi nell’ultimo periodo pare essere aumentato…

Il suicidio è la seconda causa di morte fra gli adolescenti. Fa impressione la quantità di ragazzi che arrivano al gesto estremo passando per un percorso di disagio psicologico che a volte diventa, anche rapidamente, un disturbo mentale. Il tema della salute mentale è un’emergenza già da qualche anno, il covid l’ha solo reso più evidente, eppure i servizi sono gravemente in difficoltà. Nella nostra provincia l’unico reparto psichiatrico ospedaliero è rimasto a Cassino e sopporta il peso di un’intera provincia con gravi mancanze in organico. Eppure per come è grave oggi la situazione sarebbe indispensabile un reparto psichiatrico infantile. Idem per i servizi territoriali dove la mancanza di psichiatri è ormai un’emergenza. Andrebbero fatti screening approfonditi sin dalla fase scolare, ma chi li fa?

Parlando delle campagne di prevenzione/informazione, qualcosa è andato storto. Attività a intermittenza e anche a volte dimenticate. Perché?

In alcuni casi si continua a pensare che si debbano informare i ragazzi sui pericoli delle droghe ma questo è inutile e semplicistico. Primo perché i ragazzi non si spaventano di fronte ai rischi della trasgressione, secondo perché loro su google e sui social trovano più informazioni di quanto possiamo immaginare. Anzi, è proprio perché conoscono gli effetti, hanno voglia di sperimentare! Più che prevenire bisogna promuovere modelli di vita sana e che abbia significati profondi. Non è moralismo, bisogna promuovere lo sviluppo di competenze come la resilienza, l’affettività, il pensiero critico e il pensiero creativo. La prevenzione inizia da bambini davanti alla vetrina di un negozio quando il genitore insegna a spostare in avanti la gratificazione: non tutto e subito ma quando sarà il momento giusto. 

Torniamo ai numeri. I dati della relazione del Dep Lazio riferiti al 2023 ci dicono che quelli della Asl di Frosinone sono i più alti della Regione. Cassino rispecchia il trend provinciale o lo supera? E in cosa?

Penso che quando guardiamo alla nostra città abbia poco senso considerarne i confini geografici. Oggi Cassino è il punto riferimento di un territorio vasto che comprende quasi quaranta comuni. Migliaia di ragazzi che vengono qui per studiare, per divertirsi, per incontrare i loro coetanei ma anche per sperimentare, per trasgredire, per fuggire dal vuoto e dalla noia. E di conseguenza la gestione del tema dovrebbe essere collegiale, serve un Piano Locale Giovani di grande respiro con una forte dimensione interistituzionale. Non sono i dati ad essere allarmanti quanto piuttosto la mancanza di strategie!

Dipendenze da sostanze: oppiacei e coca ma di recente ci sono stati i casi di sospetta overdose registrati in ospedale a Cassino per un mix di sostanze.  Così come siringhe rinvenute anche in centro. Cosa sta succedendo sotto ai nostro occhi?

Non c’è quasi più una persona che abbia una sola dipendenza: si va dalle sostanze legali come i farmaci a quelle illegali, passando per il web, la pornografia, le dipendenze alimentari e il gioco d’azzardo. Una volta l’eroinomane lo trovavi agli angoli delle strade, oggi chi fa uso di sostanze è la persona della porta accanto. Sostanze alle quali si accede con una semplicità imbarazzante, su internet si può comprare qualsiasi cosa e questo favorisce anche l’abbassamento dei prezzi e l’abbassamento dell’età.

L’approccio con stupefacenti e alcol ormai avviene a un’età sempre più bassa. Che quadro abbiamo del Cassinate? 

Non abbiamo dati a cui fare riferimento, anche perché non ci sono fondi per la ricerca in questo campo. D’altra parte i dati che girano riguardano le persone che si rivolgono ai servizi e per ognuna di loro ce ne sono almeno altre tre che per vari motivi, compresa l’età giovane, ai servizi non si rivolgono. Ci sono però ragazzi che nel giro di un’estate passano dal fumare di nascosto la sigaretta elettronica alla stagnola di eroina. Serve una nuova consapevolezza da parte dei genitori che devono imparare ad osservare i comportamenti dei figli, anche quelli più banali e intervenire prima che sia troppo tardi.

Giovanissimi a rischio coma etilico quasi tutti i weekend. Su questo fronte cosa si può fare?

Anche qui l’educazione comincia in famiglia: non serve avere vino e birra a tavola tutti i giorni e sono stupidi gli adulti che invitano gli adolescenti ad “assaggiare” gli alcolici, eppure succede in tutte le famiglie, dove invece si dovrebbe imparare che l’alcol va usato con moderazione e in modo occasionale. Poi abbiamo la movida incontrollata e incontrollabile e lasciatemi dire quanto può essere ridicolo immaginare che i gestori dei bar possano mettere i cosiddetti steward a controllare i consumi e a limitare gli incassi! La funzione di controllo è dello Stato, nelle sue articolazioni, perciò serve la presenza delle forze dell’ordine, servono uomini, divise e mezzi presenti in maniera costante nei luoghi della movida. Tutto il resto sono chiacchiere inutili.

Nella voce “altre dipendenze” cosa ci finisce? Il gioco d’azzardo o forse anche le maledette challenge, che mettono a rischio poco più che bambini?

Le sfide pericolose parlano del bisogno dei ragazzi di attirare l’attenzione, per questo viaggiano tanto sui social. Bisogna mettere limiti seri all’uso della tecnologia. Possibile che ancora oggi ci siano genitori che lasciano l’uso libero del telefono, anche di notte, a figli di undici o dodici anni? Serve grande attenzione da parte dei genitori. Cellulari e tablet andrebbero banditi dalle scuole perché quando i genitori provano a mettere dei limiti spesso si trovano la scuola che invece impone stupidamente l’uso della tecnologia. E così anziché il fascino dell’Odissea raccontata da un insegnante appassionato ci troviamo un piattume indistinto concentrato sull’attimo presente, senza più il valore della memoria, né la speranza nel futuro.