La legge di riforma del sociale compie 20 anni

L’8 novembre del 2000 veniva approvata la “Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali”. Fu uno dei regali pi? belli di una stagione politica entusiasmante che vide il centrosinistra unito sotto il segno dell’Ulivo di Romano Prodi.

A vent’anni da quella legge ? doveroso, almeno per chi si occupa di politiche sociali, cogliere l’occasione per una rilettura ed una verifica sulla sua attuazione.

Mi piace molto ricordare anche che uno dei relatori di quella legge fu il “nostro” senatore Lino Diana che nei suoi 3 mandati parlamentari fece onore alla provincia di Frosinone.

Per me la parola chiave di quella legge era ed ? sussidiariet?: non tanto quella verticale che ripartisce le competenze fra gli organi di governo nazionali e territoriali che sulla riforma del titolo V della Costituzione si ? un po’ arenata, quanto piuttosto per la sussidiariet? orizzontale, quella che prevede, ad ogni livello la collaborazione con il privato sociale, il terzo settore, nell’analisi dei bisogni, nella progettazione, nella programmazione e nella realizzazione degli interventi sociali.

Un sistema di erogazione dei servizi fortemente incentrato sulla relazione tra enti locali e organizzazioni non profit alle quali viene riconosciuto un ruolo rilevante.

Bisogna dire che su molti territori, fra cui il nostro, l’attuazione di questa collaborazione ? rimasta lettera morta fatto salvo qualche episodio sporadico che ? da considerarsi tutt’altro che la concertazione prevista dalla 328. 

Una legge fortemente innovativa, nata in un tempo che fu definito “primavera delle politiche sociali”, che, di fatto, nei suoi punti principali pu? dirsi tranquillamente non applicata. E invece, probabilmente, in tempo di pandemia avrebbe mostrato la sua forza e non sarebbe prevalsa la cultura dei bonus che per questo governo sono l’unica risposta ad ogni problema.

Malgrado la crisi economica del 2009 si ? dovuti arrivare al 2017 per vedere uno dei primi effetti concreti della 328, il Reddito d’inclusione, poi diventato reddito di cittadinanza. Nel frattempo l’integrazione socio-sanitaria e tutta una serie di altri temi come la salute mentale, le dipendenze, il dopo di noi, sono rimasti al palo.

Oggi ? evidente come la medicina territoriale dovrebbe essere interconnessa ai servizi sociali in una logica di welfare comunitario capace di generare interventi personalizzati. Dobbiamo restituire al sociale un ruolo importante, capace di orientare anche tutte le altre politiche, perch? il prendersi cura delle persone fa bene a tutta la societ?, promuove la partecipazione e il senso di responsabilit? collettivo. Come dice il Papa “siamo tutti sulla stessa barca”.

Purtroppo negli ultimi anni si sono fatte scelte diverse: il bonus beb? al posto dei servizi per l’infanzia, le agenzie interinali al posto delle cooperative sociali, l’intervento di cura sanitaria in mancanza degli interventi di prevenzione sociale. Oggi l’Italia spende 130 miliardi in interventi sanitari e solo un miliardo e mezzo in interventi sociali. Eppure sappiamo che un euro speso in prevenzione ne fa risparmiare 9 in interventi di cura.

Malgrado ci? i servizi sociali continuano a reggere e durante il primo lockdown hanno dimostrato una efficienza per molti inaspettata. Malgrado ci? la gente ha imparato a conoscere, ad apprezzare e a fidarsi dei servizi sociali e tutti guardano al mondo del sociale con rispetto.

A questo punto, passati i vent’anni, bisogna diventare adulti. Bisogna sostenere adeguatamente i livelli essenziali di assistenza. Bisogna vigilare affinch? la collaborazione con il Terzo settore si vera e concreta, affinch? i piani di zona siano realmente lo specchio di una concertazione e di una programmazione condivisa e non invece un documentino compilato giusto per rispettare le formalit?. Bisogna dare alle persone gli strumenti affinch? possano dare dignit? alla propria esistenza anzich? lasciarle a vita dipendenti da servizi con risorse insufficienti.

Dobbiamo ancora uscire dal pantano dell’assistenzialismo e pensare strategie nuove capaci di garantire i diritti delle persone. Era questo lo spirito della 328 e noi oggi abbiamo la responsabilit? di non rinnegarlo. Solo per fare un esempio, penso all’art. 14 della 328 che prevedeva i “Progetti individuali per le persone disabili”. Si sono trasformati in bonus economici neanche rivolti a tutti. Come a dire: non siamo capaci di costruire progetti personalizzati e allora vi diamo dei soldi. solo se avete un ISEE basso, per?!

Forse ? tempo di darci una mano fra Comuni, Asl, Universit? e Terzo settore per far s? che il sociale si senta meno solo. So che l’Amministrazione provinciale non ha pi? nessuna competenza in materia di politiche sociali ma la Regione Lazio ? troppo lontana per avviare una seria riflessione sul sistema dei servizi sociali nel nostro territorio, sulle prospettive di integrazione socio-sanitaria, sulla reale collaborazione fra pubblica amministrazione e privato sociale.

Mi domando se non si possa aprire una stagione nuova che, partendo dalla riflessione sulla tenuta dei servizi sociali al tempo del covid, in occasione dei 20 anni della 328, possa restituire centralit? alle politiche di coesione sociale. 


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