Impegno educativo e maggiori controlli

Impegno educativo e maggiori controlli

Intervista di Katia Valente, “Ciociaria Oggi”, 5 novembre 2022

Sul telegiornale regionale della Rai la violenza tra ragazze in centro città. Nessuno che interviene, solo risate. Maccaro: servono regole chiare.

Sedie volanti, utilizzate come “armi” per picchiarsi e sfogare sentimenti malevoli esplosi all’interno del proprio animo. Ragazze, probabilmente ragazzine, al centro dell’ennesima rissa, quella di sabato scorso in pieno centro a Cassino. Filmata e poi messa in rete, la rissa è diventata virale e ha conquistato la ribalta nazionale. Il Tgr della Rai ha mandato in onda il servizio televisivo ripercorrendo le fasi del violento alterco e la raccapricciante consapevolezza che nessuno fosse intervenuto a dividerle, piuttosto si erano impegnati a ridere e a registrare.

Necessità di regole
«Credo che le famiglie e la scuola debbano impegnarsi molto di più nell’educazione dei giovani senza aver paura di fissare regole chiare e abbiamo bisogno di uno sforzo maggiore di controllo del territorio soprattutto nelle ore notturne», ha detto l’assessore ai Servizi Sociali Luigi Maccaro davanti alle telecamere. Il fenomeno è più vasto di quanto si immagini. Anche il sabato prima un folto gruppo di ragazzi, giovanissimi e pure adulti, hanno dato in escadescenza innescando l’ennesima rissa ma all’arrivo delle forze dell’ordine il fuggi fuggi, tranne per un ragazzo ferito rimasto sul posto. Ragazzi frustrati, genitori assenti, società indifferente: è peggio di un mix alcolico. Aggiungiamo l’ingrediente forte, quello dello stupefancente, e la miscela diventa davvero esplosiva. Non è un mistero che a Cassino, come anche altrove, si facciano festini a base di cocaina in zone meno centrali ma a due passi dal Corso, diventate il perimetro dello sballo ora che l’area alle spalle del Comune è stata riqualificata.

I social tra giovani e adulti
Ecco perché Maccaro ha scattato, per Ciociaria Oggi, una ulteriore istantanea del fenomeno: «I social isolano i ragazzi fino a diventare per loro delle vere e proprie gabbie. Gabbie mentali. E poi quando si immergono nella realtà hanno bisogno di sfogare repressioni e frustrazioni, non hanno occasioni per esprimersi da protagonisti. Ce l’hanno solo quelli che fanno sport, che fanno musica, che fanno teatro ma quelli per cui non c’è un lavoro educativo importante finiscono per sfogarsi nella trasgressione. La vita, quella vera, se ci pensiamo è fatta di incontri e le persone non si incontrano più, i ragazzi si parlano attraverso i social. Questa mancanza dell’incontro e la mancanza dell’esperienza formativa più importante che si possa fare nella vita. Però, attenzione, non basta dire spegni lo smartphone. Mettere le regole è importante ma bisogna insegnare ai ragazzi a guardare lontano, bisogna fare proposte alternative che siano interessanti. Un trekking in montagna è sicuramente più formativo di una giornata sotto l’ombrellone. Ai ragazzi si insegna con l’esempio. Se non impariamo noi a posare lo smartphone quando rientriamo a casa, come possiamo pretendere che loro non lo usino per ore? I comportamenti dei ragazzi sono esattamente lo specchio dei difetti degli adulti. Non possiamo sempre prendercela con loro, dobbiamo metterci profondamente in discussione. eventualmente farci anche aiutare.ed è così anche a scuola».

La droga, dal gioco ai guai
E poi c’è il tema delle sostanze. «Teniamo gli occhi aperti, non banalizziamo niente, ci vuole pochissimo a iniziare, basta che un amico ti invita a provare per gioco ma quando poi ci sei dentro uscire uscirne è difficilissimo possono volerci anche tanti tanti anni. I primi segnali hanno a che fare con cose assolutamente legali: bevande energetiche, caffè, alcol, tabacco. Poi una volta creato il contesto ricreativo nel quale le sostanze, seppure legali, diventano un ingrediente essenziale dello stare insieme, poi arriva sempre quello più scafato che dice: “ho trovato una stecca di fumo, proviamo?”, a quel punto è già tardi». Ed è tardi per tutti, per i ragazzi, come per i genitori come per la comunità. E allora la devianza o finanche la rissa diventa “virale”, non nel senso social ma come comportamento ripetuto. Diventa una drammatica quotidianità!

Minori da tutelare, ecco i progetti

Minori da tutelare, ecco i progetti

Intervista di Carmela Di Domenico, “Ciociaria Oggi”, 20 ottobre 2022

La tutela dei minori sempre al primo posto. Durante il convegno è emerso che il sindaco di Cassino è tutore di 31 minori. Qual è la situazione?

Intanto voglio ringraziare gli organizzatori dell’evento per aver proposto un momento di riflessione così importante sul diritto di famiglia e su tutte le implicazioni legate alla tutela dei minori, in particolare modo quando questa incrocia l’ambito penale e penitenziario. L’ufficio per i Servizi sociali del Comune di Cassino segue molti minori, ben più dei 31 di cui il Sindaco è tutore. Quelli sono i casi più difficili per i quali l’ufficio deve dialogare cn il Tribunale per i minorenni. Ma ce ne sono diverse altre decine che comunque sono seguiti attraverso incontri e colloqui con assistenti sociali, educatori e psicologi. Sono tante le famiglie che si portano dentro storie di sofferenze, disagio, violenza ed emarginazione. A volte basta la perdita del lavoro, una separazione, una malattia e a tutti può capitare di perdere la bussola. E i figli sono i primi a pagarne le conseguenze. Per questo cerchiamo di investire tutte le risorse possibili per il supporto a queste famiglie fragili, proprio per evitare che quei 31 possano aumentare.

Un settore delicato che ha bisogno di esperienza e continua formazione. Cassino regge il passo?

Vorrei dire che abbiamo degli ottimi assistenti sociali formati tutti dall’Università di Cassino che svolgono il loro lavoro con grande professionalità ma anche con grande umanità. In questo lavoro le capacità tecniche sono fondamentali ma poi è l’empatia che fa la differenza. Le persone devono potersi fidare e affidare a chi ha ormai grande esperienza. Quello che invece manca è la presenza di educatori e psicologi. Sono sempre stato convinto che anche gli assistenti sociali debbano poter lavorare in équipe con pedagogisti e terapeuti e su questo tutta l’impostazione del Servizio sociale, specie quello rivolto a minori e famiglie debba fare un grande salto di qualità. Devo dire che nel Consorzio dei Servizi sociali ho trovato attenzione rispetto a questo punto ma è la Regione che dovrebbe stanziare nuove risorse ad hoc. E così pure sull’assistenza educativa domiciliare che è una delle più importanti forme di prevenzione all’allontanamento dei minori dal nucleo familiare.

Cosa ancora non va e cosa noi, società civile, dovremmo fare?

Credo che stiamo vivendo un periodo di grande preoccupazione sociale che impedisce alle famiglie di sentirsi parte di una comunità, di sentirsi protette dal contesto sociale a cui appartengono. Quello che taglia le gambe alle persone è la paura del futuro: la crisi economica, quella sanitaria, quella energetica ed ora la guerra. E’ pur vero che di fronte alle emergenze, come il covid e l’arrivo dei profughi, siamo capaci di grande solidarietà ma poi nel quotidiano facciamo fatica a costruire amicizie e rapporti di aiuto reciproco. Per questo penso che dovremmo cercare con ogni sforzo di abbassare la conflittualità e costruire momenti di condivisione. Tra famiglie, tra famiglia e scuola, nelle parrocchie, con il volontariato ma anche attraverso lo sport, la cultura e tutto ciò che può favorire l’aggregazione. I primi a guadagnarci sarebbero proprio i bambini: è a loro che dobbiamo restituire la speranza nel futuro, è per loro che dobbiamo impegnarci a non lasciare solo nessuno.

Avete qualche nuovo progetto nel cassetto? 

Dobbiamo andare avanti sul Garante comunale per i diritti dell’infanzia e dell’adolescenza: abbiamo fatto il regolamento ora dobbiamo pubblicare l’avviso. Stiamo lavorando anche ad un avviso pubblico per la formazione di un elenco di persone o associazioni a cui affidare le attività di supporto alla tutela dei minori. Abbiamo individuato delle risorse per un progetto di supporto psicopedagogico che porteremo in Giunta nelle prossime settimane. Ed è in preparazione la terza edizione del corso sull’affido familiare. Questo per quello che riguarda l’area minori. In più nei giorni scorsi, in collaborazione con l’Assessore all’Istruzione Maria Concetta Tamburrini, abbiamo iniziato un lavoro con gli adolescenti delle classi terze dei nostri tre comprensivi sulla promozione degli stili di vita sani.  

Ciociaria Oggi, 20 ottobre 2022

Intervista

Intervista

Intervista di Alessia Lambazzi per il Blog L’inesistente, 15 luglio 2022

Durante la nostra visita alla Comunità Exodus abbiamo avuto modo di confrontarci con il responsabile, Luigi Maccaro, in merito al funzionamento della struttura e alla percezione della tossicodipendenza da parte della società. Prima di incontrarlo abbiamo conosciuto Silvia Scafa, referente delle attività di Unità di strada, la quale ci ha raccontato il lavoro svolto a stretto contatto con gli adolescenti. 

«Il compito dell’Unità di strada è fare riduzione del rischio – proponendo l’alcol test gratuito, ad esempio – e informazione. Per raggiungere i ragazzi proviamo ad arrivare su strada e nelle scuole, dove ci occupiamo di prevenzione. Attualmente siamo in giro con la campagna “Sei tanto sicuro?”, la risposta alle informazioni provocatorie degli adolescenti convinti di poter interrompere l’uso di sostanze quando vogliono. La campagna viene promossa attraverso la carovana della prevenzione: andiamo in giro tra i comuni concordando conferenze stampa e presentazioni dei progetti, inoltre proviamo a creare rete sul territorio non soltanto insieme ai servizi ma anche con le associazioni culturali, sportive e artistiche. 

Venerdì scorso, a piazza Labriola, sono riuscita a convincere un gruppo di ragazzi a creare un evento da portare in piazza: hanno proposto di posizionare al centro degli strumenti musicali e chiunque lo voglia, passando di lì, può suonarli. Devo dire che non ci scontriamo poi tanto con la diffidenza, quando ci avviciniamo agli adolescenti loro stanno al gioco, che poi si trasforma in qualcosa di serio. Probabilmente sono meno propositivi rispetto alla nostra generazione, ma quando ci poniamo in ascolto smettono di sentirsi giudicati».

Comunità Exodus
Silvia Scafa. Fotografia di Francesco Formica
Come nasce questa Comunità e come è strutturata?

Questa Comunità è una delle sedi della Fondazione Exodus, che nasce come progetto all’interno dell’Opera Don Calabria, una congregazione con sede a Verona e di cui fa parte Don Antonio Mazzi. Nel 1984 Don Antonio si occupava di un centro di formazione professionale per ragazzi disabili in prossimità del parco Lambro – a quel tempo il più grande luogo di spaccio a Milano – e a partire da qui è nata l’idea di accogliere ragazzi con problemi di tossicodipendenza proponendo esperienze itineranti mediante il progetto delle carovane. Durante i primi anni venivano accolti all’interno di una cascina nel parco Lambro ragazzi tossicodipendenti per una fase di disintossicazione che durava tre mesi. Da lì partivano per esperienze itineranti in Italia e in Europa fino a nove mesi o un anno.

All’epoca in Italia la tossicodipendenza era un problema di ordine pubblico. Don Antonio con il suo progetto suggeriva esperienze interessanti, in modo tale che le persone decidessero di far riemergere la parte buona di sé. Una di queste carovane, risalendo dalla Puglia, ha chiesto ospitalità all’abbazia di Montecassino. L’abate del tempo, allora, ha incitato gli operatori a fermarsi per un periodo più lungo dato che all’epoca – nel 1989 – il problema della droga era sentito in maniera diversa, c’erano morti per overdose o per Aids e Cassino non era immune. Dopodiché è stata messa a disposizione questa struttura, che era una casa colonica abbandonata, ed è iniziata l’avventura. Nel frattempo sono cambiate le leggi. Con la 109/1990 sono stati istituiti i S.E.R.D, dunque la cura è passata a strutture con requisiti specifici e personale dedicato. Dalle carovane in varie parti d’Italia sono nate delle comunità residenziali, oggi se ne contano circa venti.

Come si è trasformata negli anni la Comunità Exodus?

All’inizio della nostra attività gli abitanti del vicinato nutrivano delle preoccupazioni, nei primi dieci anni abbiamo lavorato per formalizzare la presenza della struttura e impostare il programma di riabilitazione. Nel 2000 sono diventato responsabile e ha preso avvio il dialogo con la Asl, i comuni del territorio e le scuole al fine di attivare progetti di prevenzione: peer education, formazione insegnanti, sportelli di ascolto. Alla riabilitazione si è aggiunta la prevenzione. Abbiamo poi dato vita a una Cooperativa sociale per occuparci del reinserimento lavorativo delle persone che terminano il programma, alle quali proponiamo un periodo di lavoro di sei mesi. 

Ora abbiamo superato il terzo decennio e dal 2010 è stato avviato un percorso di trasformazione della cascina con l’obiettivo di creare un Centro di aggregazione giovanile. Insomma, una bella rivincita rispetto ai timori iniziali, ma soprattutto un consolidamento del rapporto tra comunità e territorio. Questa città ci ospita da trent’anni, noi ci mettiamo a disposizione dei bisogni ai quali possiamo dare una risposta, come il gruppo di auto aiuto rivolto alle persone che sperimentano una dipendenza da gioco d’azzardo.

Comunità Exodus
Luigi Maccaro. Fotografia di Francesco Formica

Abbiamo creato un Centro diurno per minori, ancora in via sperimentale perché aperto solo da un anno, come risposta intermedia che i comuni possono dare ai minori inseriti in nuclei familiari difficili per i quali si può evitare il collocamento in casa famiglia lavorando al supporto della genitorialità. La nostra ultima follia tre anni fa, abbiamo presentato una lista alle elezioni comunali per esaltare il rapporto tra la comunità e il territorio. Tutti eravamo alla prima esperienza politica e avevamo il desiderio di mettere a disposizione della comunità un bagaglio di esperienza e competenze: ora abbiamo due consiglieri comunali e io sono assessore ai Servizi Sociali.

In questo trentennio di attività avete notato un cambiamento di percezione di fronte al problema della tossicodipendenza?

L’unica costante è l’indifferenza. Trent’anni fa c’erano morti per overdose e Aids, ma i più pensavano che il problema non li riguardasse. Negli anni Novanta sono arrivate le droghe sintetiche e hanno cominciato ad avvicinarvisi non solo le persone che vivevano in quartieri difficili ma anche altri, perché queste sostanze – come l’ecstasy ad esempio – potevano essere utilizzate per il divertimento. Negli ultimi dieci anni, poi, il prezzo della cocaina è crollato e nel frattempo la tossicodipendenza ha raggiunto tutte le classi sociali. 

Oggi gli adulti e le istituzioni non si rendono conto della gravità del problema. Il 30% degli studenti italiani ha fatto uso di droghe e, a partire dai risultati di alcune ricerche, sappiamo che molti ragazzi con disturbo ADHD – o con altre forme di disagio non diagnosticate – trovano nelle sostanze una sorta di auto medicamento. La società è intrisa di rapporto con le sostanze, non più figlie di una condizione di disagio ma condimento della vita.

Il tema vero, a mio parere, non è tanto la cura delle persone tossicodipendenti quanto la cura di una società fondata sull’egoismo: non ci si accorge che se i nostri figli dovessero incontrare esperienze di devianza la causa sarebbe in parte attribuibile ai loro errori, ma in larga parte al fatto che non viene offerto molto altro a coloro che non hanno ancora una strada ben segnata. Noi ci prendiamo cura delle persone fragili, l’obiettivo però è quello di prenderci cura di una società dipendente dal possesso. Ci proponiamo al territorio come punto di riferimento per la cura dei ragazzi.

Nella fase del reinserimento si riscontra l’assenza di pregiudizio?

Devo dire che anni fa era decisamente più forte. Oggi arrivano ragazzi molto giovani che fanno uso di sostanze meno impattanti sul fisico, quindi il pregiudizio è minore. C’è anche più fiducia nei confronti della comunità. Il problema vero è che manca il lavoro: prima i ragazzi che accoglievamo avevano avuto modo di fare delle esperienze lavorative, oggi non ne hanno. 

Poco tempo fa l’uscita della docu-serie SanPa ha portato l’opinione pubblica a discutere nuovamente di tossicodipendenza e contenzione. Come è cambiato negli anni l’approccio alla cura?

Quella di San Patrignano è stata un’esperienza molto particolare, penso unica. Il programma di riabilitazione non può che essere fondato sulla libera scelta della persona. La metà dei nostri utenti si trova in misura alternativa alla detenzione, in ogni caso sono liberi di scegliere se restare: il cancello è chiuso ma resta sempre aperto e i ragazzi devono decidere ogni giorno di portare avanti il loro impegno. Un lavoro educativo senza la libera adesione al programma sarebbe impossibile. 

È vero che all’inizio molti arrivano qui per far contenti i genitori o per trovare accoglienza, successivamente bisogna lavorare sulla motivazione. A tal proposito abbiamo introdotto da qualche anno l’orientamento motivazionale con un coach che organizza sia incontri di gruppo sia individuali per far sì che la motivazione cresca. Almeno la metà degli abbandoni precoci del programma avvengono nell’arco dei primi tre mesi, dunque è importante sostenere i ragazzi affinché superino quella soglia. C’è bisogno di un lavoro che vada in profondità e consenta alle persone di capire quali sono le ragioni per cui si è intrapreso un certo tipo di percorso e che cosa va ricostruito in termini di personalità e capacità relazionali per evitare di ricadere negli stessi errori. L’approccio pedagogico, terapeutico e motivazionale lavorano insieme. 

Concentriamoci su due momenti: l’arrivo in comunità e la fine del percorso. Chi si occupa di proporre l’ingresso? E poi, una volta terminato il programma continuate a seguire i ragazzi?

In questi anni la richiesta arriva dal carcere nel 50% dei casi. Ci occupiamo di chiamare in causa il S.E.R.D di appartenenza in base alla residenza oppure quello interno alle strutture detentive, che avvia il percorso di preparazione: colloqui con assistenti sociali e psicologi, ad esempio. Anche noi svolgiamo dei colloqui conoscitivi in carcere e, completata la fase di preparazione, diamo disponibilità all’avvocato che, successivamente, si rivolge al giudice per la concessione della misura alternativa. Le richieste arrivano anche da parte delle famiglie, le quali vengono indirizzate sempre al S.E.R.D perché nel loro programma si prevede, tra le altre cose, l’ingresso in comunità. Per troppo tempo queste due realtà sono state viste come separate e qualche volta anche alternative, ma la co-progettazione del programma di riabilitazione con gli operatori del S.E.R.D è fondamentale. 

Al termine del programma le persone tornano a casa, ma continuano ad essere seguite dal S.E.R.D dove riprende il programma ambulatoriale. Chi porta a conclusione il percorso torna spesso a trovarci, qualcuno continua a partecipare agli eventi di gruppo o ai colloqui con lo psicologo. 

Quali sono le attività proposte dalla vostra comunità?

Nel quotidiano i ragazzi portano avanti le attività connesse alla gestione della casa, inoltre ci sono le attività educative fatte di colloqui con gli operatori per l’aggiornamento del progetto educativo personale oppure sport, teatro, volontariato. Proponiamo, poi, le attività terapeutiche come i gruppi con lo psicoterapeuta e il coaching motivazionale. Una volta al mese si organizza un’uscita che consenta ai ragazzi di stare a contatto con l’esterno: per noi è sempre stato importante evitare il più possibile la reclusione.

Giovani e alcol, Exodus in frontiera

Giovani e alcol, Exodus in frontiera

Intervista di Danilo Del Greco per Ciociaria Oggi 24 agosto 2021

D’estate il lavoro a Exodus non rallenta, anzi. Mentre all’interno si moltiplica il lavoro di prevenzione con il campus estivo che per tre mesi propone a preadolescenti e adolescenti esperienze di gioco e di formazione sulle life skills, all’esterno l’unità di strada cerca di essere presente nei luoghi della movida per prevenire i danni dello sballo senza freni di giovani e giovanissimi. In tutta la Provincia. E bisogna aumentare i turni al centro d’ascolto per rispondere alle mail, alle telefonate, alla chat: le richieste d’aiuto vanno dai ragazzini che abusano alcol e cannabis ai meno giovani incastrati nei meccanismi della dipendenza da gioco d’azzardo. Ma anche genitori che hanno bisogno di un supporto educativo. Intanto è già tempo di riprogrammare le attività per l’autunno. Ne parliamo con Luigi Maccaro, responsabile della sede di Cassino della Fondazione Exodus.

Partiamo dalla movida, aumentano in maniera impressionante i casi di coma etilico fra i giovanissimi. Cosa sta succedendo ai nostri preadolescenti?

Fino a una ventina d’anni fa c’era il tossicodipendente, lo riconoscevi da lontano. Oggi la dipendenza si nasconde nelle vite apparentemente normali dei nostri ragazzi. C’è una insoddisfazione interiore che neanche loro sono in grado di riconoscere e che li porta a cercare dei limiti da superare, per provare emozioni forti. Una risposta all’apatia, alla noia. Oggi regna la cultura del disimpegno in tutti i campi, si pensi solo al danno provocato ai giovani dal reddito di cittadinanza. Ormai tutti pensiamo di meritare una vita migliore senza dover fare nulla per ottenerla. E aspettiamo un qualsiasi evento che all’improvviso risolverà tutto. Nel frattempo ci si rilassa con alcol e sostanze per allontanare il sospetto che siamo piombati in una grande inganno, una grande illusione collettiva. E così i ragazzi costruiscono la propria identità non attraverso le avventure della vita, lo sport, la musica, la scuola, gli amici e i primi amori, ma attraverso l’esperienza chimica con le sostanze, legali o illegali che siano.

Exodus cosa offre al territorio in risposta a questo fenomeno?

Un centro di ascolto animato da professionisti con grande esperienza capaci di sostenere genitori e insegnanti nel difficile lavoro educativo attraverso incontri formativi. Percorsi individuali per ragazzi con il coinvolgimento della famiglia e della scuola. Incontri itineranti nei centri della nostra Provincia in accordo con le scuole, i Comuni, le parrocchie e la presenza dell’unità di strada nei luoghi di aggregazione giovanile. Un centro diurno per adolescenti, pomeridiano d’inverno e aperto tutto il giorno d’estate quando le scuole sono chiuse. Si lavora sulla consapevolezza delle proprie potenzialità, sulle competenze trasversali, sulla capacità di riconoscere le proprie emozioni, sulla relazione con i pari e con gli adulti. Educatori, psicologi e coach lavorano sul progetto educativo personale in équipe e propongono sia attività individuali che attività di gruppo. Durante l’inverno accogliamo tante scuole che vengono a visitare la comunità e nell’incontro con ragazzi e operatori trovano l’opportunità per riflettere sulle esperienze personali.

Dunque Exodus offre delle opportunità ma il ruolo delle famiglie?

Le famiglie devono rendersi conto che i nostri figli vivono in un mondo pieno di droga e di alcol che si trova dovunque, a tutte le ore e a prezzi bassissimi alla portata di una qualunque paghetta settimanale. Gli adulti hanno difficoltà ad affrontare il problema, sono confusi dalle false rassicurazioni dei figli e dalla falsa cultura della normalizzazione dell’uso di sostanze. Spesso sono proprio paralizzati di fronte al problema e avrebbero bisogno di un aiuto affinché possano prendere subito “il toro per le corna”. Rimandare o illudersi che tutto si risolverà col tempo è profondamente sbagliato. Più si interviene prima più si riesce a prevenire il peggio, più si va avanti negli anni più diventa difficile intervenire. Un ragazzo che “gioca” con le sostanze a 15-16 anni, se non ha degli adulti che intervengono seriamente, rischia di diventare un utilizzatore cronico a 22-23 anni. Oggi c’è in giro tantissima cannabis con principio attivo fino al 30% che resta lungo depositato all’interno del sistema nervoso centrale. Negli adolescenti non sono rare conseguenze che portano disturbi psichiatrici. La prima cosa da fare è chiedere aiuto.

Lei è anche Assessore al Comune di Cassino, cosa possono fare le amministrazioni comunali per arginare il fenomeno?

Innanzitutto collaborare, per esempio nell’ambito dei distretti sociosanitari, fra Comuni ma anche con il privato sociale che si occupa di questi problemi. Abbiamo un protocollo d’intesa stipulato fra Università, Dipartimento Dipendenze della ASL, Exodus e Comune di Cassino che dovrebbe essere allargato anche agli altri Comuni della Provincia, magari attraverso i distretti. Ma i Comuni senza la Regione Lazio non possono inventarsi granché. Per questo con il consigliere regionale di Demos Paolo Ciani abbiamo proposto un emendamento all’ultimo bilancio regionale proprio in materia di contrasto al disagio giovanile. Servono soprattutto interventi di strada nei luoghi frequentati dai ragazzi. Educatori giovani, preparati, formati per fare prevenzione tra pari. Psicologi capaci di lavorare in strada e non solo dietro la scrivania dello studio professionale. Educativa di strada e campagne informative per contrastare l’idea che ormai tutto sia normale, consentito, legittimo. Invece ci sono sostanze e comportamenti che fanno male e gli adulti hanno il dovere di informare correttamente i giovani. In una parola servono risorse.